Secondo gli amanti delle statistiche, profeti della matematica, all’Inter mancherebbero tredici punti per cucirsi il diciannovesimo tricolore sul petto. Non sappiamo ancora come andrà a finire. Bando a proclami inutili e prematuri canti di giubilo. Quelli è bene lasciarli alle cicale. Alle stesse che, dopo il girone d’andata, tessevano le lodi di un Milan solitario e in fuga. O a coloro che, dopo la vittoria della Juventus a Barcellona, osannavano il Maestro Pirlo e il suo calcio liquido.
Dimenticandosi di sottolineare che il Barça non era più quello dei tempi migliori. Cosa poi emersa nel mezzo del cammin di Champions League. L'Inter è sempre stata la squadra più forte. E Conte, allenatore tra i più bravi d’Europa, non poteva rimanere ancorato ad una rigidità tattica che non appartiene a chi – come lui – è entrato di diritto nel Parnaso dei tecnici grandi e vincenti. In questo Conte è stato ancor più bravo. Ha saputo concedere le giuste chance a Eriksen e Perisic nel momento chiave della stagione. Così ha cambiato volto all'Inter.
A trarne vantaggio, l’intera manovra nerazzurra. Il 3-4-1-2 di inizio stagione – che imbarcava acqua da tutte le parti – si è trasformato in un 3-5-2 versione 2.0. Il punto di forza contiano, camaleonticamente abile nel mutarsi in un più aggressivo e imprevedibile 4-2-4 nella fase di possesso. L’Inter è la più forte, e quanto ci piace sottolinearlo. Non lo è il Milan, che per vincere il tricolore avrebbe bisogno di emulare il Leicester dei tempi migliori. Non lo è la Juventus attuale, il cui centrocampo è tra i meno convincenti delle ultime stagioni.
Tutto è nelle mani dell’Inter, finalmente di Antonio Conte. Undici punti undici. Pochi per poter pensare di avercela fatta. Ad Appiano Gentile è vietato l'accesso a cicale dai canti stonati. Lo sa bene la squadra, ancor più Conte che campionati ne ha conquistati, eccome. Vietato rilassarsi, le otto gare che restano sono difficilissime. Guardia sempre alta.
Così è (se vi pare).