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Un caffè di Moratti cambiò la storia dell’Inter e di Sneijder

Facile arrivare in cima al mondo se hai Raiola come procuratore o se hai segnato gol a grappoli a 20 anni o se gli sceicchi si innamorano di te. Più difficile se nel tuo club tiri a campare ed uno dei tuoi pochi sponsor è un barista di Forte dei Marmi che, tra un cappuccino e uno spritz, trova il coraggio di dire ad un Presidente che sei l’unico che può dare le accelerazioni decisive, anche solo facendo correre la palla tuo posto.

Sarebbero serviti un po’ di fortuna ed il Presidente giusto, Wesley Sneijder è nato con la camicia, beccò proprio l’unico che poteva consumare in fretta il suo caffè e poi telefonare subito a Branca, “senti un po’ Mourinho che ne pensa di Sneijder”.  Quando arrivò la risposta dello Special, una sola parola, “magari”, Massimo Moratti non ebbe difficoltà a portare l’olandese a Milano, a Madrid giocava poco e non benissimo, si stava intristendo in mezzo a tanti campioni con talento e puzza sotto al naso da vendere, la bottiglia di vodka stava diventano la sua migliore amica come ha confessato lui stesso. Saltare su un aereo per Malpensa, firmare il contratto e trovarsi nello spogliatoio del Meazza un’ora prima di un derby di fine agosto con la maglia da titolare, lo stesso effetto di un  disco a  45 giri mandato a 78.

La musica che ne uscì fu un’armonia di giocate e movimenti immediata e da far stropicciare gli occhi. Wes sembrava nato nell’Inter di Mourinho mentre magari non conosceva ancora i nomi di tutti i suoi compagni, prese in consegna le chiavi della trequarti nerazzurra e da lì in poi non ce ne fu più per nessuno. Chi era presente a quel derby lo ricorda si per il 4 a 0 ma anche per l’apparizione dell'olandese, era il 30 agosto ma per l’Inter fu una meravigliosa Epifania fuori stagione.

Si manifestò all’improvviso anche nel momento più critico di quell’annata. A Kiev il pareggio non bastava, Sheva quando vedeva nerazzurro poteva segnare anche dal bagno di casa sua, Milito aveva pareggiato a 4 dalla fine, provò a uccellare di nuovo il portiere ucraino sul suo palo quasi dalla linea di fondo. Su quel pallone, parato ma non trattenuto, che ballonzolava a due metri dalla linea bianca, arrivarono milioni di Ave Maria finchè non si materializzò proprio Wes, a dare la randellata decisiva per la qualificazione agli ottavi e per tutta la Champions.

Il Principe e Wesley, chi se non loro? Chi poteva trasformare un rilancio di Julione nel gol più atteso da 45 anni con tre tocchi di palla? Badstuber e De Michelis sono ancora a cercare di capire cosa sia successo in quei 4/5 secondi, l’emicrania ancora non gli è passata.

Nemmeno il tempo di rifiatare, Sneijder si tolse la maglietta dell’Inter, si infilò quella orange per portare la sua Olanda ad un metro dal mondiale dopo aver insegnato  calcio e segnato gol decisivi nei quarti (doppietta  al Brasile e uno in semifinale contro l’Uruguay).  Don Andres Iniesta lo beffò al 116mo, l’Illusionista si prese la sua  rivincita dopo aver masticato amaro con il suo Barca poche settimane prima. Amarezza consolata 3 giorni dopo con un matrimonio da favola con la sua Yolanthe in borgo toscano requisito per l’occasione.

Alzi la mano chi può raccontare di aver vissuto un anno ai livelli del 2010 di Wesley.

La favola finì, non all’improvviso, non ci fu la carrozza trasformata in zucca alla mezzanotte, dopo il Triplete l’Inter si avviò per strade tempestose ma Sneijder continuò a illuminare come le luci dell’albero di Natale, ad intermittenza, fino a quando la logica dei bilanci disse che anche il suo tempo era arrivato. La sua uscita dall’Inter non fu bella come il suo arrivo, non c’era più il barista a consigliare Moratti ma i contabili, nacque un braccio di ferro con la società che pretendeva una riduzione di stipendio e lui che non voleva saperne.

Fu esiliato, messo ai margini della squadra, una delle poche volte in cui nel club nerazzurro la forza dei debiti ebbe la meglio sui valori e sulla riconoscenza. Alla fine dovette cedere, trovò il Galatasaray ad accoglierlo sontuosamente, a permettergli di mettere altri trofei in bacheca. Dalla Turchia inviò ai suoi ex tifosi milanesi un ultimo biglietto di saluti a modo suo, il gol che eliminò la Juve dalla Champions del 2013 nel fango di Istanbul.

A 37 anni c’è chi calca ancora il campo con discreto successo, lui ha salutato tutti già da due anni.  Oggi passerà il suo compleanno tra amici, selfie e qualche drink preparato da un barman diverso da quello che gli interisti non finiranno mai di benedire.

Da tutti gli interisti un milione di auguri Wes