Il caso di Christian Eriksen, successo a ridosso della fine della prima frazione di Danimarca–Finlandia, rappresenta l'ennesimo caso del malore di un calciatore che può risultare fatale. In merito a ciò è presente un'ampia e precisa riflessione, scritta da Maurizio Crosetti, tra le pagine odierne (domenica 13 giugno, ndr) de La Repubblica.
Il giornalista pone al centro della sua disamina la visione attuale che, la società, ha della figura del calciatore: “Questi giovani atleti bellissimi, i loro muscoli lucidi e scolpiti, il privilegio del sogno che ricomincia ogni mattina. La vertigine di essere calciatori: il desiderio di ognuno di noi, da piccolo. Ma questi non sono soltanto campioni, sono macchine per fare soldi, sono aziende, sono brand, gira il loro ingranaggio nell’orologio che non pu  fermarsi mai“. Proprio mai: “Sempre in campo, stiano bene o stiano male“.
Parole chiare, precise e centrate. Aziende che vengono “spremute” fino al limite ed a volte costa caro. Secondo Crosetti ci si sta dimenticando che i calciatori sono persone o meglio che possono essere i figli di tutti, fragili: “Non sono eroi immortali, sono i nostri figli fragili. Un soffio di vento può portarli via, un cortocircuito del cuore ce li può strappare in un pomeriggio di vento e sole nella città delle favole“. Fino a che punto siamo disposti a spingerci? Questo è l'interrogativo che lo stesso si pone. Perché quanto successo al danese ha riportato alla mente molti altri casi successi in passato – ed anche recentemente – con esiti più o meno simili o a volte tetri e drammatici.
Ovviamente, con quanto in possesso nelle ultime 24h, è difficile correlare gli impegni continui – uno dopo l'altro – di queste ultime due stagioni, ma ciò potrebbe rappresentare un fattore: “Ovviamente, non esiste alcuna relazione certa tra il calendario impazzito e la crisi cardiaca di Christian Eriksen. Però il tema è più vasto: fino a che punto il corpo di un atleta, anche se giovane e professionista, può essere sollecitato? Chi può stabilire il punto di non ritorno? Si gioca ogni giorno della settimana e si giocherà sempre di più. Per cosa, e contro chi?“. Questa la domanda che si pone il giornalista. Quest'ultimo poi aggiunge: “Il cuore è un meccanismo semplice, ma risponde a regole elettriche complesse e a volte inspiegabili. Si chiama morte improvvisa e riguarda anche i giovani, anzi soprattutto loro“.
Un analisi lucida e centrata, che termina con una frase che deve fare riflettere: “Li vogliamo sempre in azione, i nostri figli fragili e soli. Ci divertono, ne abbiamo bisogno. L’Europeo del ritorno alla vita […] ma l’abisso che abbiamo sfiorato guardando quel figlio a terra, non è stato soltanto un attimo di terrore. È qualcosa di più“.