Saranno Fumosi – Philippe Coutinho, da The Kid ad O Mà¡gico
Una rubrica ideata da Sabatino Durante e Raffaele Garinella che si occupa degli ex calciatori nerazzurri che hanno deluso le aspettative. Più fumo che arrosto. Saranno Fumosi
Quando gli scout dell’Inter se ne invaghirono, Coutinho era poco più che una promessa. Aveva appena sedici anni e aveva militato solo nella Serie B brasiliana. Era il 2008 e pagare quattro milioni di euro per un ragazzino con un curriculum così breve sembrava una follia. Il tempo avrebbe dato loro ragione, ma solo i veri esperti potevano aspettarsi che gliene desse così tanta. Quando Coutinho arrivò all'Inter era indubbiamente un ragazzino, in tutto e per tutto. Primo, aveva fisicamente quegli standard che ti aspetti di vedere da un un ragazzo minorenne, sia esso calciatore o meno. Secondo, non era ancora maturo nel pensiero sportivo e critico. Aveva 15 anni al momento dei primi contatti con l'ambiente nerazzurro che da lì a poco si apprestava a fare la storia del calcio. Era maggiorenne al momento di unirsi a quegli stessi fautori della storia. Stesso volto, stessa classe, stessa voglia di fare, godersi la vita e il pallone. Compiuti 18 anni dunque, Philippe sbarca all'Inter sulla scia di Pato, dei giovani brasiliani con la vera faccia da piccoli virgulti e non massicci omoni dalla stretta di mano possente. Un The Kid, bambino a tutti gli effetti.
Il 2010/2011 è la stagione giusta. Ma il 2010/2011 è anche la stagione sbagliata. Perchè da una parte l'avere compagni con la pancia piena dopo un Triplete leggendario può essere un modo per metterti in mostra tu, nuovo calciatore in rampa di lancio. Ma dall'altra se i tuoi colegas non hanno più quel piede e quella mentalità da mille e una notte allora neanche tu giri. E nessuno, in un gioco di squadra, può farcela da solo. Coutinho è rimbalzato da Benitez e Leonardo, gioca 10 partite in quella sua prima stagione europea, all'Inter, tra i grandi. Tuttavia il brasiliano è ancora un ragazzino incosciente che in campo se ne frega dei grandi giri di parole, di sotterfugi e polemiche. Lui vuole dribblare e sorridere, mettersi in porta da solo o con l'aiuto degli altri nerazzurri.
Pronti via, però, la sua avventura parte subito col botto. Al contrario. E si capisce che forse qualcosa nel suo futuro nerazzurro non diventerà futuro. Gioca 11 minuti nella Supercoppa Europea, esulta l'Atletico Madrid. Sarebbe stupido parlare di partita decisiva o di bocciatura: più che altro viene investito dalla consapevolezza che lì, nel vecchio continente, non si scherza. Ci metterà qualche gara, dopo un po di minuti da subentrante, per giocare titolare. Guarda un po', contro la Juventus. Si muove Coutinho, fluttua, qualche volta sorride. Ma non è niente di che quella gara, spaventato, forse, emozionato, sicuramente. Solo ad ottobre la sua era interista avrà uno scossone, quando fornirà un assist decisivo contro la Sampdoria, abituandosi al campo e alla ribalta. Poi, la svolta e quelle due parole, Sliding e Doors che si uniscono per cambiare la sua era: se non avesse subito quell'infortunio al ginocchio, forse sarebbe rimasto all'Inter a lungo.
Invece sta fuori due mesi e quando torna, tra scelte tecniche e dubbi, con il connazionale Leonardo in panchina, gioca neanche 150 minuti. Là si rompe già qualcosa, mentre il ginocchio ancora ulula. Il connazionale vorrebbe, ma non può. Troppo forte l'amore del popolo per Sneijder, troppo forte la possibilità che Coutinho sia un abbaglio: ed allora l’acquisto di Kovacic nel gennaio 2013 lo rende effettivamente un esubero e Branca se ne libera per dieci milioni di euro più tre di bonus. Qualche tifoso della schiera del “bidone” esulta, ad altri resta il dubbio che non gli sia stato dato abbastanza spazio. Quel che è certo è che Coutinho firma con il Liverpool, squadra in ricostruzione guidata dal volto nuovo di Brendan Rodgers.
Il resto della storia di Cou è nota ai più. Contro ogni aspettativa, fin da subito Coutinho si adatta alla perfezione al calcio offensivo dei Reds, formando un tridente micidiale con Suarez e Sturridge. Tra un dribbling e l’altro, anche gol e assist non si fanno attendere: nei primi sei mesi ne colleziona tre e sette rispettivamente. Con sempre maggior convinzione, le voci sul talento di quel ragazzo con la faccia pulita si moltiplicano e corrono di bocca in bocca. Comunemente, lo si continua a chiamare The Kid, come a Milano. Un soprannome che ad Anfield non si rispolverava dai tempi di un certo Niño…
La stagione seguente è quella della consacrazione definitiva. Titolare inamovibile, idolo dei tifosi, terrore degli avversari. Coutinho non è più il ragazzino timido che faticava ad affermarsi, è nuovamente un gioiello di punta e un grande valore aggiunto in campo. È un uomo, e in quanto tale non lo si può più chiamare Bambino. Mentre ad Anfield risuona You’ll Never Walk Alone, sugli spalti sventola una nuova bandiera, con su stampato il suo volto. «Quando l’ho vista per la prima volta, ho avuto i brividi» racconta Philippe. Sotto, c’è scritto O Mágico, il Mago. A fine stagione viene nominato tra i tre migliori giocatori della Premier League e il migliore del Liverpool sia dai tifosi che dai compagni di squadra.
Il proseguio della sua carriera è colmo di alti e bassi, tra Barcellona e Bayern Monaco, ma sempre ad altissimi livelli. Coutinho è il classico bambino prodigio arrivato nel momento più sbagliato possibile. A Milano, si sa, per molti la pazienza è anche poca. Per altri però resta solamente un rimpianto, su cui si può discutere a lungo. Capitato nel momento più bello per il tifo interista, in un così strano momento per mettersi in mostra. La storia di Philippe Coutinho, nerazzurro da bambino, magico da uomo.