C'è un locale kebab, praticamente, in ogni angolo di Milano. Festosi, caratteristici, espongono bandiere e maglie italianissime, di club italianissimi. C'è un po' di Milan e tanta Inter. Hakan Calhanoglu, al di là delle singole fedi, piace a tutti ed è uno degli idoli da queste parti, il dieci di riferimento. Piace la sua ascesa a Milano, è diventato nei mesi orgoglio e riferimento calcistico di tanti giovani connazionali e non solo che, in lui, vedono l'eroe a cui ispirarsi e avvicinarsi.
La stella di Hakan Calhanoglu, del resto, è cresciuta tantissimo. Timido all'inizio, poi sempre più centrale, a tratti strabordante – col Milan – negli ultimi 24 mesi. O forse 18. Sì, perché quel che colpisce di Calhanoglu è il suo status efficace del tutto in corso ed iniziato non molto tempo fa, quando agli albori delle prime avvisaglie Covid, e immediatamente dopo la prima ondata, ha dispensato calcio nel 4-2-3-1 di Pioli a misura di trequartista.
Quale fosse il reale ruolo di Calhanoglu è stato un mistero per tanto. Malino da ala, ruolo non contemplato (verrebbe da dire per fortuna, ndr) dallo schema dell'Inter, il turco ha chiesto e ottenuto di misurarsi in una posizione più nevralgica del campo. Fiducia meritata. L'ex Leverkusen si è fatto volere bene da compagni e ambiente. Professionale, elegante, in grado di sgomitare e non solo inventare. Calhanoglu, in Italia, è piaciuto a tutti gli allenatori. Piaceva il giusto a Montella, piaceva ancor di più a Gattuso. Prima che Pioli gli attaccasse definitivamente addosso i galloni dell'uomo-faro di una squadra che, rispetto al passato, ha imparato a volare. Non solo un trequartista, ma un tuttologo diventato masticabile col tempo, dopo qualche lezione andata a vuoto, o semplicemente con un linguaggio complicato e difficilmente assimilabile – in prima battuta – da chi gli era attorno. Questione di fiducia, di meccanismi, da oliare. E poi oliati effettivamente.
Cosa sarà Calhanoglu all'Inter è storia tutta da scrivere, ma in continuità con luoghi, strade e vie già vissute in questi anni dal calciatore. Niente estero, e nemmeno il trasloco a Torino (sponda Juve) vociferato negli scorsi mesi.
Quello di Calhanoglu sarà un semplice esercizio a misura di Google Maps, dove però non cambierà l'indirizzo per San Siro, benché saranno più le volte che ci andrà in pullman col resto dei compagni che altro. Ma chissà che il turco, in incognito, non rifletta passeggiando in queste ore nei dintorni della Scala del Calcio, sul senso di quello stadio, da vivere con fedi opposte e maglie opposte a prima. Non cambieranno mattonelle, zolle, retroscena e virtù già codificate sul prato verde del Meazza. Quella porta, quel punto esatto dove innescare sogni, servire compagni, quell'area di rigore dove entrare in grande stile e poi scaricare sul centravanti che non avrà più le sembianze rigide e dure di Ibrahimovic, ma il volto più gentile, e i muscoli, di Romelu Lukaku.
Un modo diverso di intendere il rapporto con l'attaccante. Che poi, a Milano, saranno due, ed entrambi centrali. Calhanoglu avrà due soluzioni (Lautaro più Big Rom), e non più una, da innescare in profondità. Potrà, inoltre, appoggiarsi a loro, duettare con loro, divertirsi con loro. I piazzati? Loro saranno verosimilmente il suo territorio, il suo pane. L'Inter scopre uno specialista e trova nuove traiettorie da scaricare in porta con l'altezza e la fisicità di una rosa di giganti. Buon piede, grandi idee. Soprattutto buoni auspici, e tanto entusiasmo. Cambieranno i colori delle strisce, anche nei locali Kebab di Milano. La cornice, affissa alla parete, ad osservare gli ospiti seduti sui tavoli colorati, rimarrà lo stessa, cambierà la foto, non il volto. Hakan Calhanoglu non cambierà il suo modo di fare, e continuerà a codificare il suo credo fino, pontificando e valorizzando il multiculturalismo, gli usi e i costumi – vari e forsennati – di una città che ha imparato a volergli tanto bene e che lui ha ringraziato, sempre, con compostezza e stile, dividendola solo per un po' – oggi – ma con la promessa di esser sempre sé stesso e farsi perdonare.