Inter, Ranocchia e D’Ambrosio, due sorprese (ma non troppo)
Comunque la giri loro ci sono. Immarcescibili come certi democristiani doc, rassicuranti come la coperta da tenere sul divano, ormai vecchiotta, tiene anche poco caldo ma nessuno si azzarda a buttarla, ormai fa parte dell’arredamento più caro. Danilo D’Ambrosio e Andrea Ranocchia hanno visto passare schiere di giovani in cerca di fortuna ed eserciti di colleghi attempati felici per aver strappato l’ultimo ingaggio di carriere più o meno gloriose, hanno assistito alla transumanza di presidenti, allenatori, dirigenti, ma loro sono lì, eleganti nei loro completi di lino a la page, sorridenti tra i pargoli ancora con il biberon in mano ma già stelle dei social e il contratto fresco di rinnovo in mano.
Il Borgo Antichi Orti di Assisi e il Caveau di Corso Sempione a Milano dovranno ancora aspettare prima di vedere i loro proprietari in servizio permanente effettivo, l’8 luglio lasceranno le pentole e i clienti Vip, le spiagge della Sardegna ed i paparazzi annessi perché la Pinetina chiamerà ancora una volta, e loro saranno i primi a rispondere presente, un po’ perché hanno perso contatto con le nazionali da tempo immemore un po’ perché gli anziani devono dare l’esempio. Il loro ruolo principale ormai è quello, poi capita anche di infilare gli scarpini e scendere in campo ogni tanto (D’Ambrosio un po’ più spesso per la verità). Quando la causa chiama raramente tradiscono, in campo ma anche di fronte al ragioniere visto che hanno accettato di ridursi l’ingaggio per carità di patria.
Molti non ricordano (o fanno finta) che l'ex capitano fu costretto addirittura a ricorrere all’aiuto di uno psicologo quando San Siro lo massacrava addossando sulle sue spalle ogni insuccesso. Poi venne Spalletti, la sua difesa a spada tratta di Ranocchia offeso dalle tribune durante il ritiro e lì il vento iniziò a girare, con l’ex capitano che non ritrovò la fascia di leader in campo ma conquistò quella di grande saggio dello spogliatoio. Magari sono gli stessi che dimenticano che se l’Inter era tornata in Champions dopo 8 anni lo doveva anche a D’Ambrosio prima per il gol nel 3 a 2 all’Olimpico nel 2018, poi nel 2019 per deviare sulla traversa il tiro di Ciccio Caputo che avrebbe dato una speranza di salvezza all’Empoli e la mazzata di finire fuori dalle prime quattro all’Inter.
Ciò nonostante sui social si leggono improperi vari alla società che permette ai due di continuare a vestire la maglia dei campioni d’Italia, rei secondo molti di essere attempati, scarsi in campo e di scarso appeal. Gente che getterebbe nella pattumiera le due vecchie care coperte senza le quali però resteremmo tutti al freddo, visto che i piccioli per comprarne di nuove non ce ne sono e che la rosa per affrontare campionato e Champions non può tramutarsi in un assembramento di giovani imberbi, di belle speranze ed esperienza zero. Nessuna sorpresa dunque per i due rinnovi, non sono fuoriclasse, i primi a saperlo sono loro, ma la loro esperienza a basso costo sarà ancora utile alla causa.
Quando non c’è il cane bisogna far abbaiare il gatto, come recita il vecchio detto popolare, in tempi di penuria Marotta e Ausilio stanno riuscendo anche in questo miracolo.