“Tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. Più volte Roberto Mancini ha raggiunto il cielo. Prima da calciatore, poi da allenatore”. Aprivamo così, alcuni mesi fa, delineando la figura del ct azzurro in vista dell'impegno Europeo appena concluso. Ora queste righe iniziali possono essere completate dall'ultima parte della citazione dantesca: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. Ebbene sì, quello che sembrava un sogno si è prima trasformato in un obiettivo sempre più concreto – man mano che la Nazionale avanzava nella competizione – fino a trasformarsi in realtà nella notte di Wembley (domenica 11 luglio 2021, ndr). L'Italia, 53 anni dopo, è nuovamente regina d'Europa.
Il merito, se questo sogno è diventato realtà, è di Roberto Mancini. Progettualità, self-control, fiducia nelle giovani leve, unione del gruppo ed uno stile british hanno permesso a questa Nazionale di trasformare il tormentone “It's coming home!” in “It's coming to Rome!”. D'altronde, chi meglio del Mancio per dare fiducia ai giovani, la sua carriera insegna. Partito dalle giovanili del Bologna, già all'età di 18 anni – nel 1982 – inziò a far parlare di sè alla Sampdoria. Con il club blucerchiato quindici stagioni ed uno score di 424 presenze e 132 reti per il giovane di Jesi. Velocità, tecnica, classe, fiuto del gol e della giocata. Uno spirito libero – così lo definivano – che con al fianco l'amico e collega Gianluca Vialli faceva scintille. Proprio quest'ultimo è stato fortemente voluto da Mancini al suo fianco in vista di questa storica avventura. L'abbraccio finale, dopo la lotteria dei rigori, ha racchiuso sentimenti indescrivibili e fatto riaffiorare eventi passati. Una coppia inossidabile legata fuori e dentro dal campo, non solo colleghi, ma veri e propri amici e fratelli.
Questo spirito è stato poi trasferito a tutto il gruppo che, più che una semplice squadra di calcio, è diventata una vera e propria famiglia dove ognuno gioisce e partecipa alla felicità dell'altro. D'altronde, nella sua carriera da allenatore, Roberto Mancini aveva già fatto capire quanto il gruppo fosse importante per lui. Si pensi solamente all'elevamento morale avvenuto con Massimo Moratti, quando quest'ultimo lo scelse per la panchina dell'Inter. Con i nerazzurri aprirà un ciclo di quattro stagioni – con un gruppo unito che avrebbe fatto qualsiasi cosa per il proprio mister – contrassegnate da tre scudetti, quattro Coppa Italia e due Supercoppe Italiane. Creò una macchina perfetta, una schiacciasassi che anche nei momenti più bui riusciva a ribaltare il risultato. Un po' come l'Italia: spumeggiante a tratti, ma capace di soffrire e reagire come avvenuto negli ultimi match contro la Spagna e soprattutto ieri sera (domenica 11 luglio 2021) in finale dopo l'iniziale vantaggio degli inglesi al secondo minuto della prima frazione.
Nessun allarmismo, qualche sistemazione tattica, l'ingresso di un centrocampista più fisico nella ripresa ed ecco agguantato il pareggio. Fantasia, talento, filosofia e praticità tutti aspetti che come un abile chimico è riuscito ad amalgamare alla perfezione. L'esperto Roberto, che in passato ha riportato pure un trofeo sulla sponda “meno vincente” di Manchester nel 2011/12 (insieme ad una Coppa d'Inghilterra ed una Supercoppa), non ha mai fallito. Pure nella breve esperienza in Turchia – 8 mesi sulla panchina del Galatasaray ed una Coppa di Turchia conquistata – riuscì a lasciare il proprio segno. Lavoro, mai una parola fuori posto, gestione dello spogliatoio e capacità nelle letture tecnico tattiche della gara fanno di lui uno dei manager – nel vero senso della parola – più importanti a livello Europeo e Mondiale. La figura perfetta per ricoprire il ruolo di ct e l'Italia, questo, lo ha capito. Lacrime di gioia anche per lui che solitamente, a bordo campo, è solito tenere un aplomb invidiabile. Il tutto però è comprensibile: Roberto Mancini ha fatto la storia. Ancora una volta.