Dopo l'ufficialità del suo approdo sulla panchina dell'Inter Primavera, Christian Chivu rilascia la sua prima intervista ufficiale a Inter Tv, raccontando le prime sensazioni per questa nuova esperienza in panchina.
Sull'approdo in Primavera: “Le emozioni sono le stesse del primo giorno, ho iniziato questo percorso da zero. Dovevo capire se era una cosa che mi piaceva e ho capito che mi far star bene. Voglio trasmettere il mio amore a questi ragazzi, sono partito dal basso dall'U14, poi ho avuto la fortuna di lavorare con U17 e U18 e ora proseguo il mio cammino con la Primavera. Sono motivato, sono contento di stare con i ragazzi che mi insegnano tanto. Ho anche avuto la fortuna di avere colleghi che mi hanno aiutato e trasmesso qualcosa: Bonacina, Annoni e Zanchetta ad esempio; ma anche e soprattutto Armando Madonna, autore di un grande lavoro in questi anni e che tutti noi vogliamo ringraziare”.
Sulla sua filosofia: “Io parto sempre da zero, ogni anno bisogna farlo. Voglio portare qualcosa di nuovo, l'obiettivo è questo. Faccio finta di non conoscere alcuni giocatori anche se ci ho lavorato in questi anni. Bisogna responsabilizzarli, non sono più ragazzini, sono maggiorenni e hanno degli obiettivi da raggiungere. Abbiamo sempre cercato di trasmettere la cultura del lavoro qui all'Inter. A me piace insegnare calcio perché vengo da realtà che mi hanno permesso di crescere anche da adulto, a partire dall'Ajax. Cerco sempre di trasmettere qualcosa, ogni giorno devi avere un obiettivo, altrimenti diventa tutto una routine, che ti butta giù dal punto di vista motivazionale. Poi qualcosa deve scattare dentro, penso che ci stiamo riuscendo con i nostri ragazzi. La crescita è graduale, un 14enne non può comportarsi come un 18enne. C'è chi apprende prima e chi dopo, ma mi stupiscono tutti i giorni. L'aspetto mentale fa la differenza, dal lavoro quotidiano alla partita, deve essere sempre curato ai massimi livelli”.
Sull'influenza della scuola Ajax: “Fare il calciatore e fare l'allenatore sono due mestieri diversi. Io vedo il calcio nella mia maniera, a me piace giocare, voglio che i miei ragazzi siano concentrati in campo. Poi per me il calcio è divertimento, se non lo tratti così non è più sport, ma un lavoro che ti pesa. Bisogna sempre saper mischiare le cose, con responsabilità. Questo è il problema, far capire ai ragazzi che tramite la cultura del lavoro ti puoi anche divertire. Non conta solo il campo, ma tutto quello che ti accade attorno. Ho avuto la fortuna di andare in Olanda a 18 anni, ma avevo già fatto due anni in Serie A romena. Giocavo già ad alti livelli, è stato più facile per me, ma ogni volta devi sempre fissarti nuovi obiettivi. A 21 anni ero capitano, per me è stato un orgoglio, così come lo è stata tutta la mia carriera”.
Sui suoi maestri in panchina: “Ho cercato sempre di imparare qualcosa da tutti, non sono mai stato un fenomeno, ho avuto sempre problemi ovunque ho giocato. La mia carriera l'ho costruita con la testa, adattando il mio gioco a quello che riuscivo a fare. Non sono nemmeno stato fortunato con tutto quello che mi è successo. Così ho appreso qualcosa da ogni allenatore che ho avuto. C'è chi gestisce di più, chi lavora di più in campo. Ho imparato da tutti, ma soprattutto dal mio papà, che ha allenato a livelli bassi. Lo vedevo tornare a casa e preparare gli schemi, lì ho visto la passione”.