Inutile girarci intorno, da sempre calcio e politica vanno a braccetto. Da un lato il potere ha capito fin dagli albori l’importanza del pallone e, soprattutto, delle masse di persone e denaro che muove, dall’altro la filiera di comando dello sport più bello del mondo ha sempre avuto bisogno dei governanti per crescere, per ottenere norme che favorissero aspettative sportive concrete ed interessi più o meno nobili.
La storia ci ricorda quanto pesò la celebrazione del fascismo sui mondiali vinti dagli azzurri negli anni ’30 e quella della dittatura dei Generali nel mondiale del ’78 in Argentina. Il calcio diventava lo strumento principe per accreditare e manifestare la potenza di regimi che lo usavano come maschera gioiosa per coprire le proprie nefandezze. E come non ricordare il Milan di Berlusconi che funzionava come oliatissima macchina da guerra elettorale negli anni ruggenti di Forza Italia? La Cina ha inseguito il sogno del mondiale 2030 con dispendio di investimenti enormi approvate dal Governo prima di decidere che il calcio non meritava tanta attenzione, nella trappola sono rimasti diversi pesci, l’Inter su tutti.
La modernità propone nuovi protagonisti, rapporti meno compromettenti ma altrettanto significativi. Per avere una conferma anche banale è sufficiente guardare ai paesi organizzatori degli ultimi mondiali e dei prossimi, 2018 Russia, 2022 Qatar, 2026 Stati Uniti. Vogliamo leggerla da altra ottica? 2018 Gazprom (parzialmente controllata dallo Stato), Putin, Abramovich, 2022 Al Khelaifi, Mansur (entrambi uomini di governo e proprietari guarda caso di City e Psg), 2026 fondi d’investimento, più o meno speculativi, qualunque sia il loro nome, i veri motori della finanza moderna.
In parole povere le grandi potenze politico-finanziarie che decidono le sorti del mondo manovrano anche i file del calcio, attraverso sponsorizzazioni multimiliardarie (Gazprom– Champions), attraverso l’occupazione delle poltrone che contano (Al Khelaifi– Eca), attraverso iniezioni di danaro frusciante nei club più appetibili. Con una differenza sostanziale: una volta i destini del mondo venivano decisi sulle 2 sponde dell’Atlantico, quando ancora il gigante russo si accontentava della sistemazione post bellica scaturita dagli accordi di Jalta e Parigi salvo qualche rumoroso sbadiglio nucleare. Oggi lo scenario è cambiato, gli attori protagonisti pure, petrolio ed energia parlano arabo, commercio e innovazione tecnologica parlano inglese e cinese, l’orso russo si è svegliato, il futuro dovrà fare i conto anche con i numeri spaventosi dell’India.
Una volta il teatro di guerra era l’intero vecchio continente, il calcio italiano, spagnolo, inglese, tedesco drenavano la maggior parte degli investimenti, oggi i fari sono puntati non più sui campionati ma solo su alcuni club direttamente riferibili ai nuovi potentati che diventano dunque padroni incontrastati della scena, delle regole, del mercato, dei flussi economici.
Se fino a qualche anno fa si poteva parlare di un oligopolio del calcio europeo nel quale il ristretto gruppo dei top club decidevano per tutti, oggi la diarchia City–PSG ha spazzato via ogni forma di competitività, favorita anche da chi doveva difendere gli interessi di tutti ma si è rapidamente accucciato sul carro dei dominus. L’Uefa e mr. Ceferin che dovevano costruire la politica di riforme e democratizzazione del calcio europeo del terzo millennio, subiscono senza fiatare la mano invadente della politica vera, quella che decide, ordina e se del caso rimuove chi non si adegua.
Ogni dittatura brucia le vestigia della cultura precedente, il nazifascismo dette alle fiamme ogni libro non in linea con l’ideologia, gli zar avevano fatto altrettanto fino a qualche decennio prima. Nell’anno del Signore 2021 i signori del calcio che conta non hanno bisogno di accendere roghi, il testo del FFP elaborato dall’Uefa di Platini osannato come la madre di tutte le riforme e già depotenziato dal Covid, è stato messo da parte in silenzio, usando i soldi al posto della benzina. Le regole ci sarebbero ma se per alcuni si applicano e per altri si interpretano ogni certezza viene meno, tanto più quando a violazioni evidenti corrispondono sanzioni simboliche se non farlocche.
In questo scenario l’Inter ha preso mazzate da ogni parte. La storica debolezza “politica” del club nerazzurro, la sua scelta antica e mai tradita di evitare la frequentazione dei salotti che contano ha portato a 4 anni di pane e cicoria causa settlment agreement. Appena uscito dalla bufera, quando sembrava che le condizioni fossero favorevoli per un veloce recupero di posizioni nel ranking europeo ecco la crisi del gruppo Suning indotta anche dalla politica del governo cinese. Uno scudetto atteso da 11 anni, festeggiato per qualche ora, passato nel tritacarne cinese quasi a rammentare al popolo nerazzurro quanto sia effimera la felicità. Oggi pane e cicoria toccano a Beppe Marotta, uno dei pochi capaci di trasformarli se non in ostriche e champagne almeno in una dignitosa pastasciutta.
Ma il club nerazzurro stavolta non è l’unico a piangere lacrime amare, stavolta la compagnia degli incazzati è quanto mai numerosa e nobile.
Per anni il Real Madrid ha dettato la linea su tutto il fronte occidentale, dai decenni di Santiago Bernabeu, passando per l’epoca dei Galacticos per arrivare agli anni pre covid nei quali non si muoveva foglia che Florentino non voglia. Oggi anche il facoltoso imprenditore madrileno assiste all’esplosione dei debiti del club e all’implosione del proprio potere, costretto a vendere pezzi pregiati mentre a Parigi e Manchester comprano a mani basse. E se Madrid piange Barcellona non ha niente di cui ridere, il viaggio di Leo Messi verso Parigi è la dimostrazione più lampante del nuovo ordine mondiale del pallone. A Torino con CR7 si sognava di uscire dalla periferia dell’impero a suon di magliette, Panda e trattori. I petrodollari hanno solo sorriso, gli Agnelli si metteranno di nuovo le mani in tasca per sistemare i conti, altri 400 milioni pompati in un club che negli ultimi 3 anni ha drenato risorse per quasi 900 milioni, bond compreso.
La toppa pensata in una notte di mesi fa con lo sgangherato annuncio della Superlega che doveva riempire le tasche di tutti senza guardare ai potentati, svanì come la rugiada al sole.
Il calcio della gente che si ribella allo strapotere della finanza e della politica fu detto.
Qualcuno ha visto il calcio della gente?