Mal voluto non è mai troppo. Cristiano Ronaldo a giro per l’Europa con il suo aereo, in cerca di un nuovo approdo dopo aver lasciato in fretta e furia la Juventus e prima riabbracciare i Red Devils, è il simbolo di una vicenda nata male, proseguita peggio e finita in farsa, per tutti i protagonisti e per chi ne ha raccontato le vicende in questi tre anni.
Un matrimonio nato sull’onda di un algoritmo sbagliato, quello che un campione totale potesse da solo far impennare bilancio e palmares. Beppe Marotta aveva visto prima di tutti il baratro che si apriva davanti alla Juve, quando si azzardò a lanciare l’alert fu messo alla porta da Agnelli e compagnia in un amen, trattato come un ferro vecchio incapace di accettare la sfida maxima in nome del sogno Champions che proprio Ronaldo con il rigore a tempo quasi scaduto al Bernabeu aveva spento anche quell’anno. Marotta il suo nuovo approdo lo trovò in poche ore, appena arrivato all'Inter gestì a modo suo ginocchia e moglie-agente di Icardi e aprì l’era di Lukaku. Chi lo aveva estromesso ha iniziato a contare le magliette da vendere e gli aumenti di capitale da chiedere a mamma Fiat per reggere l’urto dello tsunami economico.
Dalla sponda dei Navigli Marotta ha visto Cristiano soggiogare il mondo bianconero con la sua personalità, i suoi follower, il suo egocentrismo dalle uova d’oro sapendo di poter contare su complici bisognosi, dunque fidati. Il mondo dei media, in crisi nera di lettori e spettatori, ha festeggiato con fuochi d’artificio e tric e trac, i milioni di tifosi bianconeri in Italia e nel mondo avrebbero fatto follie per abbeverarsi alle news sul portoghese. 3 anni di “magnificatio” a prescindere, spesi a trasformare anche uno sbadiglio di Cristiano in un dolce alito di brezze marine, senza mai chiedersi dove finisse il giornalismo e dove iniziasse un voyeurismo da tre soldi, rapidamente divenuto fastidioso anche per il più accanito dei curvaioli juventini.
Se ne sono andati insieme, Lukaku e Ronaldo, ancora una volta a pochi chilometri l’uno dall’altro, uniti dall’insolito destino del mercato d’agosto. Erano arrivati come salvatori della patria, hanno lasciato l’Italia seguiti da codazzi di insulti e solo qualche rammarico. E come si addice ad ogni potente caduto in disgrazia, entrambi accompagnati dagli strali di quel mondo che li aveva incensati, quando il vento cambia meglio stare sul carro più frequentato come consiglia l’opportunismo e il contatore delle copie vendute.
Marotta non avrebbe comprato Ronaldo e, se avesse potuto, non avrebbe venduto Lukaku. Nel turbinio di proprietà incapaci di reggere il confronto sportivo ed economico con la concorrenza europea, nel naufragio tempestoso della credibilità dell’informazione sportiva, uno dei pochi a portare a casa la “buccia” è lui.