“Sono andato da lui. Abbiamo preso il solito caffè e sigaretta. Abbiamo parlato di calcio, di cose private, delle famiglie. Lui prende la penna e scrive quattro anni su un foglio bianco. Mette MM e mi passa il foglietto. Mi chiede: va bene? Io senza guardare, lo metto in tasca. E gli dico: va benissimo presidente”.
In questo aneddoto, raccontato direttamente dal protagonista di questa storia, c’è tutto il suo ‘amore’ per l’Inter. D’altronde, il protagonista di questa storia è uno di quei giocatori difficilmente il destino replicherà per l’Internazionale.
Siamo a Belgrado. È l’11 settembre 1978. Il mondo dello Sport viene sconvolto dalla morte dal pilota svedese Ronnie Peterson. Il giorno prima, durante il gran premio di Monza, era rimasto coinvolto in un tremendo incidente. Il Mondo – quello che c’è al di fuori dello Sport – ancora non sa che, sei giorni dopo, grazie alla mediazione del presidente statunitense Jimmy Carter verranno firmati gli accordi di Camp David con i quali il Sinai, conquistato da Israele, verrà ridato all’Egitto entro i successivi 36 mesi. L'Egitto sarà così il primo paese arabo a riconoscere l'esistenza stessa di Israele.
Siamo a Belgrado, dicevamo. È l’11 settembre 1978 quando nasce il protagonista di questa storia. Figlio di due calciatori, verrà lanciato dalla Stella Rossa nel 1994. Con la maglia della Crvena Zvezda giocherà 85 partite. Nel 1998, dopo aver esordito al Mondiale di Francia, il presidente della Lazio, Sergio Cragnotti, firmerà un assegno con sopra scritto 24 miliardi per portarlo a Roma. Lui non tradirà le attese andando in rete nella gara d’esordio contro il Piacenza. In biancoceleste sarà protagonista di 208 partite. Vincerà uno storico Scudetto – quello architettato dal maestro troppo spesso sottovalutato, Sven-Göran Eriksson – una Coppa Italia, due Supercoppa, una Coppa delle Coppe e una Supercoppa europea.
Il protagonista di questa storia, però, non sa che il ‘bello deve ancora arrivare’.
A gennaio del 2004, infatti, passa all’Inter per ‘soli’ 4 milioni di euro. Ci pensate? Solo quattro milioni. È l’inizio di un’epopea. “Ma quanto dovrò restare a Milano?” si sarà infatti chiesto il ragazzo di Belgrado in quegli 'imprevisti' giorni d'inverno. Nove anni, nove lunghi e vincenti anni. La sua prima rete non è casuale. Vuoi per l’avversario, il Milan nel derby, vuoi per le modalità: direttamente da calcio d’angolo in pieno rispetto del ‘gol olimpico’ secondo la tradizione argentina. Con l’Inter vincerà cinque scudetti, quattro Coppe Italia e soprattutto una Coppa dei Campioni e un Mondiale per Club.
Oggi, il protagonista di questa storia, Dejan Stankovic, compie 43 anni. “Nessuno farà più il Triplete – ha detto a maggio del 2020 – Il 22 maggio guardavo la coppa e piangevo, era troppo bella. Mourinho prima della partita ci ha detto solo che le finali si giocano per essere vinte. Entrate e vincete. Eravamo un grande gruppo, con grande personalità. Molti di noi erano capitani della propria nazionale. Ed era per molti l'ultima possibilità, io andavo per i 32 anni. Dopo il gol di Pique in semifinale sarei voluto entrare in campo, menare, fare tutto. Mi sono chiuso negli spogliatoi e i secondi non passavano mai. Al gol di Bojan, poi annullato, ho perso i sensi”. Ecco. Nel primo aneddoto – quello del rinnovo del contratto – e in questo c’è tutta la passione che Stankovic ha messo, mette e metterà per sempre nell’Inter.
Sia concessa una piccola, finale digressione a chi scrive: Quanto ti ho amato, Deki. Buon compleanno, dunque, Drago.