Inter: nel resto del mondo sarebbero macerie, a Milano è un’icona

In qualsiasi altra parte del mondo occidentale oggi sarebbe un cumulo di macerie o comunque la sua sorte sarebbe segnata.

Solo le lungaggini della burocrazia italiana e l’incapacità della politica di decidere, soprattutto in tempi di elezioni, permettono a San Siro di festeggiare oggi (domenica 19 settembre) 95 anni potendo guardare al futuro con ottimismo a tempo determinato. Un secolo fa la tecnologia era quello che era ma tecnici e politici sapevano fare il loro lavoro. Quando Piero Pirelli, Presidente del Milan, decise di dare una casa alle imprese dei suoi ragazzi, il progetto dell’architetto Cugini e dell’ingegner Stacchini fu realizzato in 14 mesi circa. Avete capito bene: poco più di un anno, tempi da opere pubbliche in Giappone mentre in Italia, oggi, non bastano per convocare conferenze di servizi e tavoli tecnici vari.

Il 19 settembre del 1926 San Siro aprì le sue porte a Milano e al calcio del mondo intero. Un’avventura lunga quasi un secolo durante il quale è diventato uno degli impianti più iconici e vincenti dell’intera storia del calcio mondiale. Novantacinque anni fa era lo stadio del Milan, l’Inter giocava all’Arena, l’overture non poteva che essere un derby, anche se amichevole. Segnò prima il Milan ma alla fine il battesimo di San Siro lo celebrarono i nerazzurri, 6 a 3  e “tutti a casa alè, anche allora”.

A San Siro era intitolata una chiesetta che sorgeva in quella parte ancora assai periferica di Milano. Le fonti bibliche raccontano che Siro sarebbe stato il ragazzo che portò le ceste di pani e di pesci che poi Gesù moltiplicò. Il giovinetto avrebbe poi seguito San Pietro a Roma e sarebbe stato da lui inviato a convertire le popolazioni della pianura padana. Siro pose la sua base a Pavia, ne divenne primo Vescovo e si dedicò all’apostolato in tutta la zona, Milano compresa. Il nome è dunque quello di un protagonista di un miracolo vero, capostipite di altri miracoli sportivi che si sono ripetuti frequentemente sul suo tappeto verde. Quelli più palpitanti hanno avuto per interpreti 11 ragazzi in maglia nerazzurra. Ok, siamo di parte, qualcuno potrebbe avere qualcosa da obbiettare ma va bene così.

Dal 1980 la Scala del calcio è stata intitolata a Giuseppe Meazza, gigante in maglia nerazzurra, comprimario in rossonero. Qui il tifo non c’entra, contano i numeri, ma soprattutto conta la milanesità universale di Peppino che di certo non si rattristerà più di tanto se la gran parte dei tifosi continua a rammentare il nome del Vescovo di Pavia piuttosto che il suo. San Siro o Meazza che sia, resta la bellezza del gigante,l’adrenalina che riesce a trasmettere fin dalla salita sulle rampe per poi esplodere quando la muraglia di gradoni di manifesta agli occhi dello spettatore, un brivido che si ripete anche per gli abbonati più fedeli. Questione di ricordi, di storia, certo ma anche dell’attualità di una bellezza che non conosce confronti con altri stadi ben più nuovi e ipertecnologici.

Il destino di San Siro è legato allo scontro tra modernità, interessi e sentimenti con questi ultimi di solito destinati a soccombere, Milan e Inter sono alle prese con vicende societarie che troverebbero una soluzione anche grazie all’ approvazione del progetto del nuovo impianto. Le lungaggini della politica assicurano al vecchio gigante almeno qualche anno di vita felice ma alla fine servirà un altro miracolo del giovane Siro. Stavolta non basteranno pani e pesci, serviranno argomenti molto più concreti per far comprendere che sarebbe un affare per tutti ristrutturare l’antico secondo i canoni della modernità più avanzata nell’ambito della riqualificazione commerciale dell’intera zona.

I pani e pesci sarebbero così salvi, la storia dei club e di milioni di tifosi pure.