“Come fa uno che scrive, che ha letto certi libri, un “intellettuale” ad appassionarsi, a prendere sul serio la partita della domenica e il campionato e i campioni del pallone?”
Una domanda che oggi sembra banale. Il calcio suscita sempre più frequentemente le attenzioni di molti rappresentanti delle élite del pensiero, spesso sinceramente interessati agli aspetti sociali e sportivi, talvolta ammaliati dalla visibilità sicura che il discettare di pallone offre a buon mercato.
Quando però se la pone Vittorio Sereni è il 1964. È l'epoca in cui l’intellighenzia non amava ancora mischiarsi con temi considerati territorio riservato alle fasce più popolari. Prima di lui, negli anni ’30, Umberto Saba aveva dedicato le cinque poesie al gioco del calcio nel suo Canzoniere, ispirate da due occasioni che, quasi casualmente, lo avevano spinto sulle gradinate di uno stadio. Pur tuttavia anche il grande poeta triestino era rimasto sempre lontano dalla passione, dal tifo, il pallone non rientrava tra i suoi interessi di poeta e di uomo.
Sereni no, Sereni si cala completamente nel mondo del calcio senza vergogne o ritrosie o forse è meglio dire che utilizza l’Inter, la sua Inter che seguiva ogni domenica a San Siro, per innalzare il gioco a metafora della vita. A modo suo un rivoluzionario che per primo comprende quanta vicenda umana si sviluppi nel rettangolo verde e negli spalti che lo circondano in quei 90 minuti e quanto il percorso che parte dall’attesa della gara, si sviluppa con la partita e termina con lo stadio che si svuota dopo il triplice fischio dell’arbitro siano trovi assonanza con l’esistenza di ciascuno dei protagonisti di quell’evento, senza distinzioni tra giocatori e spettatori.
Confesso che conoscevo solo superficialmente Vittorio Sereni. Avevo letto qualcosa di lui in alcuni libri o articoli che nel tempo sono andati ad approfondire aspetti poco battuti sull’Inter e sul mondo che la circonda, senza fermarsi ai fatti puramente sportivi, ai calciatori più conosciuti, ai dirigenti che ne hanno fatto la storia proprio con l’intento di offrire ai lettori una chiave di lettura concreta all’ affermazione che l’Inter è da sempre la squadra preferita da artisti e uomini di cultura.
Scoprire che un poeta ha scritto uno dei suoi componimenti più famosi nel 1935 – “Domenica sportiva” – dopo aver assistito ad una partita tra Ambrosiana Inter e Juventus, leggerne il primo verso, folgorante anche per il tifoso meno incline alla poesia – “Il verde è sommerso in nerazzurri…” è una esperienza da consigliare a chi voglia davvero allargare la sua conoscenza sul mondo interista, nobilitato non solo dal palmares ma anche dall’arte di uomini come Vittorio Sereni che per decenni hanno convissuto con il loro “fantasma nerazzurro” fatto di ricordi, sensazioni, confronti tra il passato ed il presente. Un percorso nel quale San Siro diventa una straordinaria allegoria dell’esistenza non solo nel momento in cui i nerazzurri e la sua gente lo popolano ma anche in una torrida giornata di luglio, quando i cancelli chiusi e l’enorme piazzale antistante deserto diventano metafora di un tempo sprecato tra un prima già passato ed un dopo che suscita paura e sgomento tanta è l’incertezza.
Un percorso che ho cercato di seguire in questi ultimi mesi e che adesso mi piace raccontare in questo e nei pezzi che seguiranno nelle prossime settimane, da semplice appassionato e dunque senza alcuna pretesa di scimmiottare critici che ne sanno ben più del sottoscritto.
Continua…