C’è chi ha parlato di match da Premier, una reclame di 90 minuti più recupero per il calcio italiano. Forse più attinente è l’immagine di un incontro di boxe con i due pugili alla fine stremati ma ancora capaci di mollarsi un gancio per uno sperando che l’avversario andasse giù. Al 90mo sono rimasti entrambi in piedi e forse è giusto così.
Inter e Atalanta se le sono suonate di santa ragione fino al triplice fischio di Maresca in un mix di emozioni, gesti tecnici sublimi ed erroracci da prima divisione, tra quali non è da conteggiare il penalty sulla traversa di Dimarco. Senza Lautaro e Calhanoglu toccava a lui, è andata male, si gira pagina e si guarda avanti anche perché il ragazzo nei 30 minuti avuti a disposizione ha dimostrato di che pasta è fatto. Pasta ottima, di quella che riesce sfornare alternative preziose e giocate imprevedibili proprio al momento giusto, quando la fiducia sembra venire meno e c’è bisogno dei lampi di coraggio di chi si carica la squadra sulle spalle e suona la carica. Compito che di solito spetta agli anziani ma ieri sera è stato l’ex Verona a scompigliare le certezze della squadra di Gasperini che stava assaporando il colpo del KO.
Insieme a lui sugli scudi Lautaro e Barella, con il Toro ormai consapevole del ruolo di leader offensivo, capace di gol da urlo, pressing asfissiante sulle ripartenze avversarie e rientri importanti. Sul centrocampista sardo ormai si è detto quasi tutto. Quasi, perché partita dopo partita riesce a stupire un po’ di più e non solo e non tanto per il dinamismo quanto per la capacità di mandare in porta i compagni di squadra o di mettersi in proprio per cercare la via del gol.
Tornano invece ombre cariche di polemiche su Handanovic, dopo la bella prova di Firenze il capitano è tornato far vedere i sorci verdi a 11 compagni di squadra e 37 mila sugli spalti. Le nubi ristagnano ristagnano anche su Calhanoglu, dopo l’esordio brillante ma troppo facile con il Genoa il turco si è perso nei meandri di un ruolo ancora non metabolizzato dai quali o ne esce alla svelta o rischia di diventare un problema pesante per Inzaghi. E anche Dzeko ha di che rimproverarsi. Già nel turno infrasettimanale il gol aveva coperto una prestazione non indimenticabile. Con la Dea ha fatto rewind ma le tre occasioni sbagliate per misura nel primo tempo per mettere davanti alla porta Lautaro e Perisic e lo stop troppo lungo quando poteva andare in porta da solo non sono da lui.
Game over. Non c’è più tempo per guardare indietro, dei vecchi amici aspettano l’Inter per dire di che colore sarà il futuro. Tra 72 ore c’è lo Shakhtar che ne prese 5 nella semifinale di Europa League con Conte ma poi lo scorso anno fece l’abbonamento al parcheggio del pullman davanti alla sua area sia all’andata che al ritorno impedendo a Lukaku e c. di siglare il golletto che avrebbe significato ottavi di Champions.
Amici ma mica tanto, una settimana hanno rimediato una coppiola dai moldavi dello Sheriff, martedì sera De Zerbi ed i suoi saranno promettono di lasciare in campo lacrime e sangue. Per l’Inter sarà la prima strettoia della stagione, da passare con i tre punti al sicuro pena la fine della luna di miele tra Inzaghi e tutto l’ambiente. Dopo la sconfitta immeritata contro il Real, l'accesso agli ottavi di finale di Champions passa proprio dal doppio confronto con gli ucraini, dando per scontato il bottino pieno nel doppio confronto con lo Sheriff. Giocare bene va bene, giocare bene e non vincere un po’ meno. Se in campionato c’è tempo per recuperare in Coppa no, se l’Inter vuole godersi il percorso serve la vittoria a Donetsk, magari anche senza tanto spettacolo, magari anche abbassando un po’ il baricentro e coprendo di più una difesa non più granitica come nel girone di ritorno dello scorso anno. Inzaghi se lo sarà sentito dire mille volte a Roma, lo diceva anche Trilussa “quanno ce vo’ ce vo’”.