Inter Moratti- Aveva comprato Pelè. Il mondiale del 1958 era appena terminato, il ragazzino che aveva stupito il mondo con la 10 dei carioca sulle spalle aveva già firmato il contratto che lo avrebbe portato all’Inter, l’accordo era solo da depositare in Federazione. La notizia circolò velocemente tra gli addetti ai lavori, attraversando gli oceani. Poche ore dopo il telefono di Angelo Moratti squillò, dall’altra parte Jorge Coury, il presidente del Santos. Gli raccontava delle minacce ricevute dai tifosi che avevano saputo, avevano tentato di incendiare la sede del club, era in atto una rivolta che rischiava di spargere sangue, da qui la preghiera di stracciare quel contratto. Fu così che Edson Arantes do Nascimento restò in Brasile e non vestì la maglia nerazzurra. La memoria di quei giorni è di Massimo Moratti, in una intervista alla Gazzetta nel 2016. Basterebbe questo per disegnare quello che era Angelo Moratti e quello che l’Inter era per lui.
Moratti aveva rilevato l’Inter da Carlo Masseroni il 28 maggio 1955, cento milioni di quell’epoca il prezzo per comprare un sogno. Aveva fatto l’offerta d’acquisto in mezzo a mille dubbi, proprio in quelle settimane aveva aperto una nuova raffineria in Sicilia ed era lì, a seguire la partenza del suo nuovo impianto. Tornò a Milano sperando che qualcuno si fosse fatto avanti per rilevare l’Inter al suo posto. Invece non era così e la più felice di questa cosa era la moglie Erminia Cremonesi, tifosa nerazzurra sfegatata. Era stata lei, 20 anni prima, a convincere il marito ad accompagnarla allo stadio del Testaccio di Roma, dove allora vivevano. Iniziò tutto da quel Roma- Ambrosiana del 1934, Moratti aveva 25 anni, uno in meno dell’Inter nata nel 1908.
Il padre era il farmacista di Somma Lombarda, all’epoca una delle autorità nei piccoli centri insieme al prete, al maresciallo dei carabinieri ed al maestro. Perse la mamma a 8 anni, la sua storia verso il successo iniziò con la ribellione nei confronti del padre e della matrigna. Appena finita la scuola elementare non indossò il camice bianco ma la tuta da operaio, in una fabbrica di maniglie d’ottone. E dopo la fabbrica la scuola serale, per il diploma di scuola secondaria. Tosto come pochi e spinto dal desiderio di indipendenza, pensava agli Stati Uniti, al sogno americano come sbocco per le sue aspirazioni. Il destino si presenta per fermarlo sotto le spoglie di una piccola azienda milanese che distribuiva idrocarburi e che aveva necessità di un rappresentante. Angelo fu assunto subito e ci mise poco a capire che in un mercato dominato da due società americane (Shell e Standard Oil) c’erano praterie enormi per arricchirsi. Lo Stato Italiano lo capì nel 1926 fondando l’Agip, Moratti si mise in proprio nel 1927. Era a Civitavecchia per il servizio militare, nei periodi di licenza e di permesso riforniva di petrolio le barche dei pescatori. Un colpo di genio che funziona subito alla grande e gli permette di espandere il suo business ai pescatori di Toscana e Sardegna, soprattutto quelli di Olbia. Finito il servizio militare ha già una sua piccola rete che da Civitavecchia trasferisce a Roma, poi a Genova per rientrare alla fine a Milano. L’Italia è nella morsa dell’autarchia fascista, l’importazione di petrolio è limitata, si va avanti con il carbone nazionale. L’irrequieto Moratti afferra al volo l’occasione di comprare una miniera in Umbria e la porta a pieno regime di estrazione. Ma non c’è solo l’imprenditore rampante, c’è la statura umana di dimensioni altrettanto enormi. Quando arrivò il luglio del ‘43 i nazisti cercavano operai da deportare in Germania. Moratti gonfiò a dismisura e fittiziamente i numeri della sua manodopera, come Oskar Schindler con la sua famosa Lista. Anche per questo i tedeschi sabotarono la miniera danneggiandola pesantemente.
Da li in poi la sua avventura nel mondo del petrolio prende il volo, negli anni successivi nasce la Saras, Moratti diventa uno dei petrplieri più importanti del mondo occidentale.
Siamo ormai nel fatidico 1955. L’ex operaio di maniglie Angelo Moratti viene insignito del titolo di Cavaliere del Lavoro dal Presidente della Repubblica. Ha messo su una famiglia che somiglia, guarda caso ad una mezza squadra di calcio. 6 figli, Adriana, Gianmarco, Massimo, Mariarosa detta Bedy, Gioia. Ma sono 5! Vero, il sesto, Natalino, sarà adottato da Angelo ed Erminia quando il successo gli aveva già arriso . Non tanto però da far dimenticare le loro origini e dunque non tanto da impedirgli di “restituire almeno qualcosa che la vita gli aveva regalato”. Natalino divenne uno dei simboli dell’interismo morattiano, sempre presente in panchina come dirigente accompagnatore, alla Pinetina e durante la Presidenza di Massimo anche membro del Cda.
I primi anni della sua presidenza morattiana sono difficili. I successi non arrivano, a San Siro serpeggia il malcontento.
Uno dei pochi ad aver capito era (come sempre) Gianni Brera: “Si intuì allora che Angelo Moratti era nato per vincere e che a perdere non ci stava proprio». Si affacciano in nerazzurro giovani sconosciuti, ancora per poco. I primi due sono Mario Corso e Aristide Guarnieri. Nel 1960 arriva l’ennesimo cambio in panchina, Moratti stavolta pesca all’estero, in casa del Barcellona. Helenio Herrera, uomo per niente refrattario al denaro, firma quando il petroliere italiano gli mette davanti 40 milioni l’anno, premi doppi e multe a carico della società.
La Grande Inter sta nascendo, quello che succede negli anni successivi è scritto negli annali nerazzurri e del calcio mondiale, scudetti, Coppe dei Campioni, Coppe Intercontinentali, Moratti e l’Inter guardano tutti dall’alto al basso.
Poi arriva il 1967, in una settimana l’ultima di campionato a Mantova e la finale di Lisbona col Celtic. Quel maggio orribile dice che la cavalcata è finita. Moratti più che deluso è amareggiato : “Siamo stati grandi quando si vinceva, cerchiamo di essere grandi anche ora che abbiamo perduto. Forse siamo rimasti troppo tempo sulla cresta dell'onda. E tutti a spingere per buttarci giù. Ora saranno tutti soddisfatti”. Parole che da sole raccontavano come andavano le storie del calcio italiano, già a quell’epoca. Il Presidentissimo molla un po’ le briglie permettendo ad Herrera di disfarsi di Picchi, Guarnieri, Jair. La grande Inter inizia a perdere pezzi e colpi. Lo squadrone che aveva dominato il mondo aveva bisogno di gente nuova ma Moratti era troppo affezionato ai suoi. Il Milan ne approfitta per vincere lo scudetto del 1968, lasciando i nerazzurri a 13 punti. Troppi per l’orgoglio di Moratti, che chiamò Fraizzoli e gli mise in mano la società per 240 milioni, una miseria rispetto a quel che aveva pagato a Masseroni e a quel che l’Inter era diventata in quei 13 anni. “Anche a poker preferisco smettere quando perdo, ci vuole più coraggio” disse dopo la cessione.
Angelo Moratti morì per un edema polmonare il 12 agosto del 1981 a Viareggio. Due giorni dopo, nonostante il ferragosto incombente, la gente di Milano gli tributò un saluto enorme. Non se ne andava un uomo di successo ma un milanese che aveva amato la sua città e ai suoi abitanti. Molti ricordarono quel giorno anche sua moglie Erminia, che girava per la città con una borsetta piena di sterline d’oro, da distribuire a chi ne avesse bisogno davvero, in silenzio, senza telecamere al seguito, discreta come solo la beneficenza dei grandi può essere. Peppino Prisco lo salutò come “uomo di grande intelligenza e correttezza, non a caso l’unico petroliere morto senza aver ricevuto una comunicazione giudiziaria”.
Oggi sarebbe stato il compleanno di Angelo Moratti. Auguri Presidente, ovunque tu sia.