Inter Inzaghi – Confesso il mio “peccato”, l’eccesso di realismo che mi ha fatto dire per una settimana che avrei firmato per il pari con il Napoli pur di vincere mercoledì con lo Shakhtar. Le ore di viaggio tra San Siro e la Toscana non sono bastate a smaltire l’adrenalina per la partita più bella (a mio avviso) dell’Inter negli ultimi anni. Il 4 a 2 ai cugini del febbraio 2020 fu forse emotivamente più intenso perché era un derby, per la rimonta, per la chiusura suggellata dal gol di Lukaku ma la qualità dell’Inter quella sera non fu pari a quella vista con il Napoli.
Dopo la sconfitta del Milan a Firenze l’importanza del match era aumentata a dismisura, i tre punti volevano dire dimezzare (quasi) lo svantaggio sulle due capolista in sol colpo. Inzaghi l’ha preparata alla perfezione, i ragazzi hanno compreso e hanno regalato 75 minuti di gran calcio, il Napoli messo sotto a suon di gol, di idee, di applicazione ad altissimo livello.
Quando l’acido lattico ha iniziato a farsi sentire nelle gambe e il mister ha dato il via ai cambi le cose sono cambiate radicalmente. Squadra troppo bassa, iniziativa lasciata costantemente nelle mani degli azzurri di Spalletti, nessuno a contrastare la ripartenza avversaria. Barella aveva fatto cenno di avere un problema ma perché togliere Lautaro spostando Perisic a seconda punta? Il Toro era l’unico che ancora riusciva a rallentare l’uscita del pallone dall’area napoletana, il croato fin lì aveva giocato una partita semplicemente mostruosa saltando regolarmente chi si trovava nei suoi paraggi e rinculando di continuo a supportare la difesa. Inzaghi avrà avuto i suoi ottimi motivi altrimenti lui non sarebbe sulla panca nerazzurra e il sottoscritto a scrivere fregnacce ma anche a molti altri è sembrata una mossa che ad un quarto d’ora dalla fine ha praticamente smontato un meccanismo perfetto.
Con il gol di Mertens il profumo della solita beffa è arrivato fortissimo, ormai il problema è evidente e ancora senza risposta: non appena il contagiri nerazzurro scende le difficoltà arrivano per default, la gestione delle fasi finali sono ancora materia ostica per una squadra che sa inventare ma non amministrare. Giustizia ed un po’ di fortuna hanno evitato il ripetersi di situazioni tristemente ben note in questo avvio di stagione e chi se ne frega se Handanovic non è stato stilisticamente perfetto sulla capocciata di Mario Rui sparata da 6 metri.
Difficile fare graduatorie, Brozovic e Perisic enormi, Darmian forse ancora meglio, Skriniar il solito muro, Calhanoglu gol, assist e presenza finalmente continua e di peso nella zona nevralgica, Ranocchia come al solito pronto alla bisogna. Per trovare il pelo nell’uovo occorre tornare alle palle perse da Barella e Dzeko da cui nascono i gol del Napoli, il bosniaco rimedia 7 punti in testa e qualche brontolio dagli spalti, chi contava su di lui per tenere alta la squadra ha trovato solo macchinosità nei movimenti e velocità di esecuzione non appropriata alla serata.
La pena per il “peccato” confessato è stata la sofferenza per quasi 100 minuti d’orologio e scusate se è poco. La felicità non impedisce comunque di pensare che lo scoglio ucraino di mercoledì prossimo sarà comunque ancor più importante, 90 minuti che possono rappresentare il trampolino di lancio per la stagione o il primo flop post scudetto con diluvio di polemiche annesse e connesse. Gli ottavi di finale sono troppo importanti per la crescita del gruppo, per la salute del bilancio, per l’appeal e la dimensione internazionale del club. Chi lo nega forse non lo sa ma commette un peccato ancor più grave: si chiama provincialismo, malattia di larga parte del calcio italiano contro il quale non è stato ancora individuato il vaccino