Quante Inter abbiamo visto in questa stagione?
3 flash, 3 pro memoria:
21 novembre 2021, Inter Napoli a San Siro, quando al 17mo del primo tempo Zielinski porta in vantaggio gli azzurri i ragazzi di Inzaghi sono a meno 7 dalla vetta della classifica. Poi Calhanoglu, Lautaro e Perisic la ribaltano, Milan e Napoli restano a più 4.
22 dicembre 2021, il gol di Dumfries al Torino permette all’Inter di girare la boa di metà campionato con 4 punti di vantaggio sul Milan e 7 sul Napoli.
13 marzo 22, Il gol in extremis di Sanchez all’ Olimpico di Torino colloca i nerazzurri al terzo posto, 4 punti dal Milan, 1 meno del Napoli, anche se con una partita in meno.
E quante Inter abbiamo visto negli ultimi 25 giorni? Almeno due, quella disastrosa delle gare con Sassuolo, Genoa, Torino che mette insieme 6 punti in 6 partite e quella brillante e sfortunata vista a Milano ed Anfield Road con il Liverpool.
Discontinuità legata alla struttura incompleta della rosa? Incapacità di reggere standard di rendimento adeguati oltre un certo periodo o non appena il livello degli avversari sale? Tendenza cronica delle squadre di Inzaghi a mollare nella seconda parte della stagione?
Si potrebbero scrivere libri sulle montagne russe su cui l’Inter ed i suoi tifosi vivono da inizio stagione senza trovare una sintesi condivisa. Anche perché ragionare di massimi sistemi va bene, poi però se Lautaro sbaglia un gol da 4 metri con il Sassuolo, se non riesci a buttar dentro una palla gol su 5 nitide con il Torino, se Handanovic ci mette del suo una partita si e l’altra pure ogni discorso si chiude qui e buonanotte suonatori.
Sulla graticola ovviamente c’è Simone Inzaghi, fino a qualche settimana fa veniva acclamato come l’emulo dei grandi mister nerazzurri del passato probabilmente dagli stessi che oggi reclamano #Inzaghiout con la vena fuori dal collo. Inzaghi non ha la tigna di Conte né la paraculaggine di Mourinho, Inzaghi è figlio del momento vissuto da una società in mezzo al maremoto economico abbandonata a sé stessa dal timoniere che aveva portato il 19mo scudetto. Inzaghi ha la sua personalità, che non è quella del manager gestore di uomini, di situazioni, di politica comunicativa, Inzaghi è un ottimo allenatore che per la prima volta nella sua carriera si è trovato a confrontarsi con ambizioni di altissimo livello. Questo è Inzaghi, tutti lo sapevano fin dall’inizio, era così quando Dzeko e Lautaro la buttavano dentro anche se tiravano dal bagno di casa loro ed è così oggi che non segnano neanche con le mani.
Meriti e responsabilità del mister vanno di pari passo, ha retto una barca che poteva naufragare dopo le partenze di Hakimi e Lukaku e la perdita di Eriksen, lo ha fatto sbagliando più di una volta la lettura delle partite ed i cambi.
Soprattutto lo ha fatto avvinghiandosi mani e piedi al suo schema tattico, senza predisporre una alternativa che in certe partite più incarognite o in assenza di qualcuno dei titolarissimi potesse dare alla squadra l’equilibrio necessario per superare momenti difficili. La Brozovic-dipendenza della squadra ha portato frutti copiosi per molti mesi ma è anche un segnale di debolezza, specialmente se in rosa non c’è un altro giocatore con caratteristiche più o meno simili. Carenza a cui si doveva far fronte con gli opportuni aggiustamenti in campo più che con le soluzioni semplicistiche adottate perché Vecino non ha piedi e tempi di Brozovic, perché se metti Barella in quel ruolo perdi due centrocampisti anziché uno solo.
Non sta al sottoscritto dare i numeri, 442 o altri prefissi tattici è roba da specialisti laureati a Coverciano e da social-tuttologi ma anche i ciechi hanno visto che l’unica variazione di rilievo proposta dal mister in assenza del regista croato è stata quella di abbandonare spesso la ripartenza dal basso per insistere sul rilancio lungo di Handanovic su Dzeko.
Un po’ poco, anche per un allenatore giovane come Inzaghi.
Cosa resta per sorridere? Il tempo perché il tempo c’è con 9 partite all’orizzonte (più una).
Chi pensa che i giochi siano fatti avvelena anche te, digli di smettere.