Editoriale

Inter, dirigenza e proprietà, dopo il mercato serve chiarezza

Se il primo giorno di ferie in Maremma coincide con l’ ultimo di mercato ed il l tempo è così così  nasce l’esperienza infernale di stare attaccato al maledetto device mentre saluti amici e bagnino, leggere che arriva Acerbi mentre cerchi di capire se il bimbo dell’ombrellone davanti è di quelli che giocano e piangono, piangono e tirano pallonate che neanche il peggior Guarin,  piangono e alzano sabbia più di un caterpillar.
Il lettino materassato ha un fascino tutto particolare, un effetto calamita irresistibile. Le membra ringraziano, solo la testa non entra in modalità relax e riavvolge il nastro degli ultimi tre mesi.

Prima i botti

Giugno, l’Inter fa il pieno, Mkhitaryan, Asllani, Onana, Bellanova. Lukaku prende i Blues per le corna, si scopre manager e agente di viaggio e torna laddove lo avevano incoronato re. Parametri zero e prestiti da pagare nei prossimi anni, pochi euro sul tavolo ma tanto basta. Nel mezzo la prima doccia di stress, la bufala  di Bastoni al Tottenham viene svelata in pochi giorni.  La concorrenza balbetta, stenta, i nerazzurri gonfiano petto e aspettative dei tifosi. Troppo presto forse, l’effetto anticipo gasa lì per lì ma sarà percepito nelle settimane successive come inattività da condannare.

La beffa e le prime domande

Luglio, i tifosi dell’Inter fanno un altro pieno ma stavolta di frustrazione. Marotta con il suo dire/non dire illude tutti sull’arrivo di Dybala. Su Bremer c’era poco da temere, l’accordo con il giocatore sarebbe stato più forte di tutto, anche delle pretese di Cairo. In 48 ore  i due prendono altre strade, più decise e più danarose. le polemiche infuriano, i consumi di Maalox pure. Nel frattempo alcuni giocatori, primo tra tutti Handanovic escono in pubblico con parole chiarissime sulla necessità di non disperdere la forza del gruppo, Skriniar e nessun altro big deve lasciare l’Inter. Frasi che di solito non escono dallo spogliatoio e che danno per la prima volta contezza di quanto poco tranquilla sia la situazione tra le mura interiste. Il perché è chiaro, il PSG aveva da poco recapitato la sua offerta per il centrale slovacco. Proposta micragnosa, pensando di prendere per il collo le esangui casse di Viale della Liberazione.

Il film di agosto

Agosto passa con 31 puntate della telenovela Skriniar più qualcuna che vede per protagonista Dumfries. Meglio sacrificare l’olandese invece del futuro capitano pensa la maggioranza, ma non ce ne sarà bisogno. Sono i quattrini dello sceicco  a fare paura, insieme al desiderio di Steven Zhang di mettere insieme il tesoretto necessario ad assicurare l’avanzo di  mercato.  Quel che frega i parigini è la sicurezza che l’Inter alla fine cederà, più per necessità che per scelta. L’offerta micragnosa viene ribadita, poi appena alzata. La sensazione è che in quelle ore sia andato in scena un confronto non propriamente tranquillo tra la proprietà e la dirigenza o meglio tra la proprietà ed  il gruppo dirigenza-mister-senior della squadra. Alla fine anche Zhang ha dovuto prendere atto che il comportamento del PSG non era tollerabile fino al punto (a quel che si legge) di respingere  lui stesso  in prima persona l’ultimissima offerta dello sceicco  arrivata in prossimità del gong finale. Esito scontato, vista l’impossibilità di sostituire  in quel caso il difensore slovacco.
Diversità di opinioni che si sarebbero  ripetute per portare in  nerazzurro il sostituto di Andrea Ranocchia, reclamato da mister Inzaghi con forza da settimane. Svanite  in fretta le piste  Akanij e Chalobah  per le quali serviva poter investire qualcosa in più dello zero euro messo a disposizione dalla proprietà restava solo Acerbi, laziale in rotta con Lotito, vituperato dai tifosi nerazzurri per i suoi trascorsi più o meno vicini ma assai ben accetto al suo antico allenatore. La sensazione è che alla fine anche per pagare il suo stipendio la coppia Marotta-Inzaghi sia venuta ai ferri corti con Zhang per imporgli un elemento fondamentale per la rosa difensiva.

Certezze e interrogativi

Tre mesi schizofrenici, per fortuna terminati con una certezza e un grande punto interrogativo.

La certezza è che l’Inter, nonostante tutto, ha una squadra per competere. Certamente in Italia mentre in Europa avrà bisogno dell’aiuto della fortuna visto il girone uscito dalle urne.

I competitor nazionali, tutti, hanno fatto passi avanti notevoli. La Juventus ha iniziato i fuochi artificiali a gennaio con Vlahovic per chiudere ieri con il botto Paredes. Ha saputo venduto, ha saputo  prestare, si è liberata di giocatori fuori dal progetto. I soldi investiti sono tanti, Torino è in Piemonte non in Cina, lì il governo non ha messo paletti, gli aumenti di capitale fioccano a ripetizione. La rosa è di primissimo ordine, spetta ora ad Allegri assemblare il giocattolo.

Il Milan prosegue sulla strada intrapresa con Elliott. Progetto fatto di razionalità coraggiosa, le risorse disponibili servono per profili giovani di grande qualità e qualche vecchio marpione con pretese non eccessive. La strada per ora ha pagato bene, il mix impostato porta risultati in campo e nei bilanci.

Roma e Napoli hanno investito tanto, sembra anche bene al momento. Le due piazze ribollono di entusiasmo, hanno il vento delle città alle spalle. Mourinho sa bene come cavalcarlo e farlo diventare tempesta, Spalletti ha una squadra rinnovata ma di grande spessore.

Urgono fatti non parole

All’Inter sicuramente c’è l’entusiasmo della tifoseria, i 71 mila presenti con la Cremonese a fine agosto la dicono lunga. C’è sicuramente una dirigenza che per il secondo anno ha saputo fare i salti mortali avendo a disposizione risorse che non sarebbero bastate a fare il pieno della Mc Laren di Zhang. Dirigenti che avrebbero tutto il diritto di gestire budget di un certo spessore per rinforzare una squadra con ambizioni di vertice. Dirigenti che avrebbero la fila di club davanti alla porta nel momento in cui dovessero gettare il cappello per aria.

Il punto interrogativo riguarda la proprietà e le sue possibilità di mettere in condizione il club di competere. Due anni di mercati a lacrime e sangue possono essere tollerati ma alla lunga si impongono scelte non rinviabili, pena una revisione generale degli obbiettivi del club per il futuro. Gli Zhang hanno tutto il diritto di fare il loro mestiere di imprenditori al meglio, tutelando i loro interessi economici. L’Inter ed i suoi tifosi hanno un diritto prioritario rispetto a tutti gli altri, quello di veder garantito al club un futuro all’altezza del suo blasone. Spetta a Suning trovare risposte convincenti nei fatti. Le parole non bastano più.
Tra 24 ore il derby, meglio pensare a quello.