Dopo la terza sberla di Udine (la quarta se si aggiunge quella rimediata dal Bayern) pare quasi inutile continuare a discettare dell’atteggiamento dei singoli, degli errori del tecnico o dei preparatori atletici.
Facciamo un rapido reset con la memoria. L’Inter che sei mesi fa esaltava per il gioco propositivo, per la facilità di andare in gol, per la difesa quasi impenetrabile, ce la ricordiamo quella squadra?
Formazione di quest’anno? Con l’infortunio di Lukaku e al netto di Perisic sono gli stessi o no? E con una panchina più qualitativa abbiamo recitato tutti assieme. Vero o no?
Dunque stiamo parlando di una squadra che aveva raggiunto meccanismi oliati, movimenti conosciuti alla perfezione, spazi e tempi gestiti con grande efficacia. Sei mesi fa, non sei anni fa. Possibile che tutto sia svanito nel breve volgere di una estate? Possibile che tutto dipenda dalla sola preparazione atletica? I dati dicono di no, l’Inter corre più o meno come gli avversari solo che corre senza pensare, senza intensità nè lucidità. Possibile che undici interpreti possano dare di sé stessi una rappresentazione così diversa?
Anche impegnandosi sarebbe davvero difficile a meno che…
E’ difficile pure scriverlo…a meno che diversi degli undici non remino contro qualcuno.
Qualche giorno fa avevamo parlato di questo ( https://www.interdipendenza.net/wp-admin/post.php?post=128349&action=edit) ipotizzando che il mercato poteva aver lasciato qualche strascico non simpatico tra gruppo squadra-dirigenza-proprietà.
Impossibile pensare che la squadra con il suo atteggiamento intenda entrare nelle dinamiche societarie, almeno fino a quando i bonifici sui conti correnti continuino ad arrivare con regolarità il 27 del mese.
Resta dunque una sola ipotesi, la più brutta, quella che la squadra o almeno una parte di essa abbia mollato mister Inzaghi e che ognuno giochi per conto suo. Lo dicono i fatti, le prestazioni, lo dice oggi uno solitamente ben informato come Fabrizio Biasin (“c’è un problema nello spogliatoio da risolvere con le maniere forti”). Problemi post mercato? Problemi nati lo scorso anno? L’intervista di Calhanoglu del giugno scorso sulle responsabilità di Inzaghi potrebbe offrire una risposta a chi fosse portato a fare due più due in maniera immediata anche se forse un po’ semplicistica.
Nessuno vuole nascondersi dietro al classico dito, Inzaghi ha le sue belle responsabilità, gli errori di formazione e nei cambi sono ormai talmente tanti che parlano per lui. Un allenatore che negli ultimi tempi ha perso lucidità come dimostrano anche alcune sue recenti dichiarazioni. Ma in campo vanno i giocatori, sono loro che sbraitano invece di correre, loro che pretendono e ottengono rinnovi importanti salvo poi sparire nelle nebbie dell’anonimato (tutti tranne Lautaro).
Inzaghi resterà sulla panca nerazzurra, almeno così pare. I motivi sono plurimi e ben conosciuti. I soldi scarseggiano, gli allenatori che potrebbero rivoltare la situazione pure. E nessuno dimentichi che fra la girandola di allenatori andati e venuti negli ultimi decenni, l’ultimo cambio di panchina con esiti positivi è datato novembre 1970, porta il nome di Giovanni Invernizzi che sostituì Heriberto Herrera e vinse lo scudetto recuperando 7 punti al Milan (quando la vittoria contava due punti).
Le soluzioni che restano sono due. O la squadra ha dei leader che si prendono sulle spalle l’onere di suonare la carica per ottenere la svolta dal resto della compagnia oppure spetta alla società usare il pugno duro.
Nel caso dell’Inter è da accendere la seconda risposta. Gli ultimi leader autorevoli che hanno bazzicato quello spogliatoio (Materazzi, Zanetti, Cambiasso giusto per fare tre nomi) oggi sono tutti felicemente pensionati. Lukaku il ruolo di condottiero riconosciuto se lo è giocato con il ritorno a Londra, Barella ancora deve mangiare pappa e umiltà, Skriniar sta studiando da anni per quell’investitura, quando la riceverà magari sarà già a Parigi o chissà dove.
Spetta dunque alla società estirpare il problema, a Beppe Marotta unico profondo conoscitore delle dinamiche umane e psicologiche che regnano in un ambiente atipico come uno spogliatoio di un club importante. I mal di pancia, le aspettative di mercato, i sogni di rinnovi con tanti zeri, tutto deve passare in secondo piano. C’è da serrare le fila, ricompattare la baracca e riprendere un cammino che ha già esaurito ogni possibilità di passi falsi. Serve una scossa, Marotta utilizzi tutti gli argomenti, anche quelli meno nobili, per far capire ai giovanotti che quando si veste quella maglia non esiste interesse personale prioritario.
A Torino sapeva come fare, l’augurio è che anche la sua memoria non sia in crisi.