Editoriale

Uomini, giocatori, fuoco e attributi: tre interisti fanno una notizia

La giornata di ieri non sarà ricordata negli annali della storia dell’Inter. Il vertice tra Inzaghi e la dirigenza sembra destinata a rivelarsi la classica montagna che partorisce il topolino, si pensa ad un ritiro durante i mondiali, niente di che.

Solo alcune notizie di ex interisti hanno smosso i sentimenti della gente nerazzurra in una giornata da calma piatta.

A distanza di poche ore sono arrivate le informazioni sul ritiro dal calcio di Andrea Ranocchia e Goran Pandev. Due ragazzi che a modo loro hanno segnato la storia degli ultimi anni dell’Inter.

Ranocchia, da indesiderato a totem

La parabola di Ranocchia è quella di un uomo che ha vestito con dignità ed orgoglio la fascia di capitano prima di cadere in un vortice di amarezza. Degradato, messo in panca, contestato da San Siro tutte le volte che calcava il terreno da gioco. Costretto a ricorrere all’aiuto di un mental coach per non mollare. Prestato all’estero ed in Italia come un indesiderato a tempo indeterminato,  in attesa che qualche club si decidesse a liberare l’Inter dal suo peso a bilancio. Fino al 2017, fino all’ultimo ritorno in nerazzurro. Offeso da uno spettatore durante il ritiro, Spalletti  affronta  l’ignoranza di quella persona a modo suo per difendere il suo giocatore. Da lì Andrea conosce una nuova dimensione. Quando rientra in campo da titolare al posto di Miranda San Siro lo accoglie come un figliol prodigo, riconoscendo implicitamente le proprie colpe. Ranocchia diventa il totem che gioca poco ma conta molto. Quando è chiamato in campo  sbaglia poco o niente, nello spogliatoio diventa un punto di riferimento prezioso prima di Spalletti, poi di Conte e Inzaghi.

A giugno la separazione dall’Inter, a pochi km di distanza lo attende la maglia del Monza ed un contratto da due milioni di euro l’anno. Uno con la sua esperienza può essere prezioso per una neo promossa con grandi ambizioni. L’avventura dura poco, alla seconda giornata al Maradona di Napoli il crack, la frattura, i lunghi mesi di inattività davanti a sé con il mondiale ad allungare i tempi.

Troppo per uno come lui, magari il fuoco del giocatore non arde più come prima,  altri se ne sarebbero fatti una ragione e continuato a controllare l’accredito mensile il 27 di ogni mese. Lui no, prima la rescissione per liberare il Monza dagli obblighi contrattuali poi l’annuncio  di appendere gli scarpini al chiodo. Giù il cappello di fronte ad uno così.

Goran Pandev, talento, modestia e lampi di genio

Passano poche ore ed arriva l’annuncio di un altro ritiro dal calcio giocato, quello di Goran Pandev. Un altro arrivato (o meglio tornato visto il suo passato nelle giovanili nerazzurre) tra mille dubbi dei tifosi.

Goran non è bello, non è appariscente, quel ciuffetto triangolare in mezzo ad una capoccia quasi del tutto abbandonata dai capelli diventa il suo marchio di fabbrica al posto dei pettorali tartarugati.  Non bello ma prezioso come una pietra rara per dedizione, capacità di essere decisivo nei momenti topici anche senza segnare. La sua partita contro il Barcellona nella semifinale d’andata nell’anno del Triplete dovrebbe essere materia di studio per ogni allenatore che frequenti le aule di Coverciano.  La punizione nel derby  del 2 a 0 nel 2010 con l’Inter in 9 contro 11,  la sua saetta al sette all’Allianz Arena di Monaco all’88mo, il 3 a 2 che mandava l’Inter agli ottavi di Champions 2011 ed il Bayern a casa a mani vuote ancora una volta restano gol scritti a caratteri cubitali negli annali nerazzurri. 10 anni dopo prima segna il gol che porta la sua Macedonia per la prima volta ai Campionati Europei, poi il primo della sua nazione nella competizione continentale. Diventa una sorte di eroe nazionale riconoscimento quanto mai meritato.

Icardi, colpa dell’effimero

Ultimo flash della giornata. Non è la notizia di un ritiro dal calcio,  Icardi con il calcio ad alto livello ha chiuso da tempo, solo l’ennesimo annuncio della separazione tra Maurito e Wanda Nara.

Se sia vero e definitivo poco importa. Si presta bene invece in questa logica a riaffermare l’importanza del mix tra abilità  e attributi. Come nel Vangelo la parabola dei talenti dovrebbe insegnare molto anche ai calciatori.  L’abilità dell’argentino a buttarla dentro era innata ed innegabile, 124 gol nelle Inter più disastrate degli ultimi decenni parlano chiaro. Il talento lo regala il cielo ma chi lo riceve deve essere in grado di plasmarlo, allenarlo, esaltarlo con la propria personalità. Se fosse stato sufficiente avere talento gente come Adriano avrebbe avuto il mondo ai suoi piedi, Balotelli avrebbe potuto dettare legge ancora per anni. Icardi fa parte di questa schiera, quella di chi ha ricevuto un dono preziosissimo e lo ha sacrificato sull’altare dell’effimero, selfie e supercar, ville e vacanze a gogò, voli privati e tette al vento perché anche quelle rendono bene. Uno schiaffo in faccia ai tifosi che lì per lì sorridono, magari si arrapano pure  ma poi giudicano. E non c’è giudice più temibile di un tifoso incazzato.

Chi è causa del suo mal…

Ranocchia e Pandev hanno avuto la loro dose di talento, non da top player, da onesti interpreti del mondo del pallone. Loro hanno saputo unirci carattere e modestia, intelligenza e sacrificio. Fra i tre Icardi era quello con l’abilità più importante ricevuta dagli dei del calcio, quella di segnare valanghe di gol con regolarità scientifica dalla sua mattonella. Sarebbe bastato poco per non disperdere quel dono, separare affetti e lavoro, come fanno tutti nel suo mondo o quasi.  Doveva essere sufficiente evitare atteggiamenti ed eccessi inutilmente pubblicizzati sui social da lui e dalla moglie-agente. Sarebbe bastato un po’ di buon senso, come Pandev e Ranocchia, invece… Salvo sorprese negli ultimi anni della sua carriera Icardi resterà nella memoria  più per i selfie ose’ con la moglie che per i gol. Poco male, chi è causa del suo mal pianga sé stesso, il mondo va avanti lo stesso, l’Inter pure.