Il reato esiste, l’imputato è presente, confidiamo nella sua clemenza sig. Presidente.
L’arringa del povero difensore dell’Inter nell’immaginario processo apertosi dopo il quarto schiaffone in 8 partite potrebbe essere solo questa. Quali altri argomenti potrebbe accampare?
La sentenza è scontata, imputati colpevoli, tutti condannati, chi più chi meno.
La pena più dura alla proprietà perché il pesce puzza dalla testa e gli Zhang ci stanno mettendo tutto il loro impegno per non nascondere il cattivo odore. Le attenuanti richieste per le difficoltà a vendere il club e per il rifinanziamento recentemente annunciato non sono accettabili anche perché le offerte erano arrivate mentre gli unici soldi che metteranno sono quelli prestati da Oaktree. I problemi di bilancio li hanno tutti, la pandemia ha morso tutti. L’Inter (da sempre avanti a tutti in fatto di sfiga) ha vinto il premio speciale dei paletti imposti dal Governo cinese. Dopo due anni di pazienza con annessi riconoscimenti unanimi per i soldi inizialmente profusi nel club possiamo dire adesso anche basta?
Perché se Steven Zhang non se ne fosse accorto se Bastoni non rende come l’anno scorso è anche e soprattutto colpa sua. Se Skriniar è obnubilato da reconditi pensieri parigini la colpa è anche sua. Se Barella continua a fare il vigile urbano in campo anziché il centrocampista d’assalto la colpa è anche sua. Da che mondo è mondo nel calcio chi caccia la grana ha il diritto di attaccare alle proprie responsabilità chi non rende da par suo. Se parli di obbiettivi da centrare ma lasci il club nelle mutande dell’autofinanziamento e anzi, pretendi pure il tesoretto di fine mercato, è abbastanza ovvio che ai dipendenti girino le balle.
E quando si parla di dipendenti anche qui si inizia da quelli più importanti. La dirigenza ad esempio, quella che probabilmente non ha annusato il clima non propriamente idilliaco che regnava nel gruppo squadra già dallo scorso anno, a scudetto perso. Chi non riuscisse a fare due più due vada a rileggersi l’intervista a Calhanoglu del giugno scorso. Difficile che un giocatore spifferi giudizi così severi nei confronti del suo allenatore se non ha almeno una parte dello spogliatoio che la pensa come lui.
Inzaghi aveva il contratto in scadenza 2023, si dice sempre che non si inizia la stagione con un mister in panca all’ultimo anno di contratto.
Il rinnovo è arrivato subitissimo e con tanto di congruo aggiornamento di stipendio, figlio dei due trofei portati a casa lo scorso anno ma orfano di una seconda stella regalata che avrebbe significato soldi, prestigio, visibilità, sponsor e, soprattutto, prima fascia nel sorteggio di Champions League con annessi e connessi. Si poteva/doveva riflettere un po’ di più e un po’ meglio?
E Digitalbits chi lo ha scelto? Noi no, i tifosi neanche, di chi è stata questa brillantissima idea? I top club europei hanno sulle maglie i nomi di banche, immobiliari, colossi della chimica e della finanza, linee aeree. Scegliere di legarsi ad un settore nuovo ma ad altissima volatilità era un rischio che doveva essere valutato nei minimi dettagli. In ogni organizzazione di lavoro moderno chi è profumatamente pagato per organizzare, gestire, scegliere, sa che se prende un granchio da 80 milioni circa addio poltrona e addio prebende. Nell’Inter come funziona? Non per avere un altro capro espiatorio ( ce ne sono già in quantità industriale) ma solo per esigenze di chiarezza e trasparenza. Perché è giusto che i tifosi, primi e più importanti stakehloder del club, sappiano quali dinamiche reggono le sorti del mercato, del rafforzamento della squadra, della vita del club. O no?
Su mister Inzaghi qualcosa abbiamo già accennato. Le sacre stanze nerazzurre da sempre sono territorio ostico per chi non abbia la “cazzimma” umana e tecnica degli Herrera, dei Bersellini, dei Trap, Conte e Mourinho. Da noi i buoni piacciono (uno su tutti il povero Gigi Simoni) ma solo i figli di buona donna vincono. Inzaghi è figlio di mamma conosciuta ed amorevole, è educato e rispettoso, fin troppo. Ha avuto la sfortuna di inciampare nell’Inter cinese, per di più dopo lo scudetto vinto e non onorato da Conte. Magari in un altro periodo storico avrebbe fatto faville. Le incertezze societarie ed uno spogliatoio non più granitico come 12 mesi fa hanno annebbiato anche lui. Invece di tappare la bocca a tutti con i risultati, magari inventandosi un colpo di genio tattico per piegare la Roma (ormai anche il Pizzighettone, con tutto il rispetto, saprebbe come fermare la sua Inter), ha preferito mandare un messaggio anomalo per la sua comunicazione educata, piatta, quasi banale. Quel “dove alleno io aumentano i ricavi, si dimezzano le perdite e si conquistano i trofei” non è un segnale di forza, tutt’altro. Sono parole inutili, che niente hanno a che vedere con il suo ruolo, un calcio nei marroni della società. Parole di un giovanotto che si sente mancare il terreno sotto ai piedi, che realizza di essere messo nell’angolo dalle difficoltà e probabilmente anche dalla sua squadra, o da parte di essa.
Storicamente cambiare allenatore in corsa non produce effetti positivi all’Inter, unica eccezione lo scudetto di Invernizzi nel 1971. Ma qua non è più questione di scudetto.Adesso è lotta per la sopravvivenza nell’Europa che conta, senza il quarto posto addio sogni di gloria, al termine dell’ottava di campionato la classifica dice noni a meno 5 dalla zona Champions. Inzaghi non sembra più in grado di dare la scossa necessaria alla squadra per inanellare un filotto di vittorie tale da riagganciare il treno dei primi quattro anche perché la scossa potrebbe non bastare. Qua è richiesto un elettroshock a tutta la rosa, magari anche qualche spalla attaccata al muro per far passare sbornie da primo della classe e montature di capo varie. Ehh ma l’Inter non si può permettere di esonerare Inzaghi, costerebbe una ventina di milioni lordi osservano i cultori dei numeretti gongolando con malcelata perfidia delle difficoltà nerazzurre. Vero probabilmente. Ma restare fuori dalla Champions costerebbe ben di più e non solo sotto il lato meramente economico. O fai all in o rischi di sbaraccare a giugno, la scelta sta tutta qua. Ma se la scelta sarà esonerare Inzaghi perché attendere Barcellona o Sassuolo? C’era la sosta, il momento poteva e doveva essere quello, cambiare in corsa giocando ogni tre giorni è ancora più difficile. A meno che non si pensi di arrivare così fino allo stop per il mondiale per fare il punto a bocce ferme ma a quell’epoca i buoi potrebbero essere già scappati dalla stalla.
Arrivare in fondo alla filiera per parlare dei giocatori pare a questo punto quasi inutile. Si sono adeguati alla confusione, alle scelte sbagliate, agli errori compiuti da chi sta sopra di loro. Non è una assoluzione tutt’altro. In campo vanno loro, se lo facessero come lo scorso anno nessuno avrebbe da niente ridire invece ognuno guarda al suo e il gruppo va a ramengo. Lukaku e Brozovic hanno 29 anni, quello di quest’anno potrebbe essere il loro ultimo mondiale. Se qualcuno pensa che si strappino i capelli per accelerare il rientro in squadra prima possibile a mio avviso è un illuso. Gli errori individuali, tecnici e di atteggiamento, sono innumerevoli, quelli di Handanovic su tutti. Dopo la Roma, con tutta la riconoscenza dovuta a Samir per quel che ha fatto in 10 anni, quando Onana diventerà titolare sarà sempre troppo tardi. E’inquietante la propensione a prendere gol perdendo palle banali in fase di risalita, con gli avversari che trovano la difesa sguarnita e vanno dentro come nel burro. Barella ha passato gran parte del match con la Roma a questionare coi compagni più che giocando, manco fosse Steven Gerrard. Bastoni sembra il cugino di quello dello scorso anno, Skriniar lo zio dimenticato da tutti.
Serve un reset completo per allontanare tensioni e frizioni e ricostruire quel minimo di unità di intenti per salvare la stagione. Gli incontri della dirigenza prima e dopo la sosta con giocatori e staff tecnico hanno avuto effetti zero. Fra 48 ore arriva il Barcellona. Serve il miracolo, anche perché sarebbe un miracolo che potrebbe far svoltare la stagione. Serve che tutti, senza alcuna eccezione, remino dalla stessa parte. E’chiedere troppo?