Brillante, disinvolto, alternativo, controcorrente. Angelo Peruzzi è questo e molto altro. La sua storia all’Inter – nonostante sia durata meno di un anno – merita di essere raccontata. Quando venne scaricato dalla dirigenza della Juventus, Peruzzi era ancora uno dei portieri più forti d’Italia. Il matrimonio con la Vecchia Signora finì dopo otto anni di successi. Il palmares recitava tre scudetti, una Champions League, una Coppa Intercontinentale, una Supercoppa Europea, una Coppa Uefa, una Coppa Italia, due Supercoppe italiane.
Dalla Mole ai Navigli. Anni di onorata militanza ed una bacheca da fare invidia ai più grandi del calcio mondiale, spinsero Peruzzi a chiedere un rinnovo contrattuale con adeguamento economico. Moggi se la legò al dito e preparò il terreno per la cessione all’Inter.
Avevo ancora un anno di contratto con la Juventus e volevo rinnovare. Verso la fine del campionato, mi sottoposi ad un’artroscopia per ripulire la cartilagine usurata del ginocchio. La trattativa per il rinnovo del contratto era in una fase di stasi, chiedevo un adeguamento del contratto. Dopo qualche giorno, Moggi mi chiamò e mi disse che aveva trovato i soldi. Non alla Juventus ma all’Inter, con cui aveva trattato la mia cessione. Pensai ad uno scherzo, poi appresi dalla radio, mentre stavo partendo per le vacanze, che la Juventus aveva preso Van der Sar. Fu allora che capì che il mio rapporto con la Juventus era finito.
Così parlò il Dottore. La trama tessuta da Moggi sembrò saltare sul più bello. A salvare capra e cavoli ci pensò Umberto Agnelli. La sua telefonata a Massimo Moratti spinse il presidente nerazzurro a definirla di “di grande correttezza e cortesia”. Agnelli abbassò il costo del cartellino di Peruzzi da 34 a 28 miliardi. Quello sconto più che gradito da Moratti, consentì a Lippi di avere a disposizione uno dei suoi pupilli. All’Inter era in corso un’autentica rivoluzione. Appiano Gentile somigliava sempre più a Villar Perosa, il numero di ex bianconeri che affollavano gli spogliatoi era notevole. Oltre a Lippi e Peruzzi, c’erano anche Bobo Vieri, Vladimir Jugovic, Paulo Sousa e Roberto Baggio. In campionato, i nerazzurri partirono molto bene. Due vittorie contro Verona (3-0) e Parma (5-1), pari all’Olimpico contro la Roma (0-0) prima della trasferta di Torino contro i granata di Emiliano Mondonico.
Vola, Angelo. Vola. Fu quella la partita che ammorbidì l’iniziale ostilità dei tifosi nerazzurri nei confronti di Peruzzi, reo secondo la Curva Nord, di aver preso il posto del beniamino Gianluca Pagliuca. Quando l’arbitro Farina assegnò un calcio di rigore al Torino, furono in tanti a tremare. Peruzzi mantenne il sangue freddo ed ipnotizzò Marco Ferrante. Una parata determinante che permise all’Inter di espugnare il Delle Alpi grazie ad una rete di Bobo Vieri nel finale.
Dall’amore al calesse. Sembrava il principio di una stagione trionfale, si trattò di uno specchietto per allodole. L’Inter non riuscì – complice qualche infortunio di troppo – a mantenere un andamento costante. Con Ronaldo e Vieri fermi ai box, l’attacco nerazzurro si inceppò, Lippi perse il self control degli anni in bianconero e solo una doppietta del nemico Roberto Baggio permise all’Inter di conquistare la qualificazione in Champions League. Baggio salvò i nerazzurri nello spareggio verità contro il Parma di Malesani, poi decise – soprattutto per incompatibilità con Lippi – di andarsene al Brescia.
Casa dolce casa. Anche Peruzzi preparò le valigie con destinazione Roma, sponda biancoceleste. A Milano stava bene, ma Roma era casa e al cuor non si comanda. Fu lo stesso Peruzzi a parlare di quell’addio maturato troppo in fretta.
L’anno all’Inter fu tribolato, avevamo una grandissima squadra e le prime partite le stavamo vincendo tutte. Con gli infortuni di Ronaldo e Vieri, abbiamo cominciato a zoppicare, alla fine abbiamo chiuso soltanto al quarto posto. Un peccato perché volevamo vincere lo scudetto. Me ne andai alla Lazio anche per mia volontà e Moratti non si oppose. A Milano stavo bene e non avevo avuto alcun problema. La mia fu semplicemente voglia di avvicinarmi a casa.
Una sola stagione disputata ad ottimi livelli, un rapporto breve ma intenso. Nel calcio, come nella vita, è l’intensità a fare la differenza. Peruzzi l’ha sempre fatta, anche in nerazzurro.