Editoriale

Supercoppa italiana, Inter maestra di stile dentro e fuori dal campo

I festeggiamenti dell’Inter dopo la vittoria della Supercoppa italiana sono stati all’insegna del rispetto più assoluto dell’avversario sconfitto. Con una sobrietà inusitata, potremmo dire. A fine partita abbiamo visto come i nerazzurri abbiano consolato i rossoneri, fermandosi in mezzo al rettangolo per scambiare un po’ di euforia con la delusione. Una bella shakerata e il drink dello stile è servito. Una lezione, quella impartita in mondovisione dai giocatori della casa regale di viale della Liberazione, che non è passata inosservata ai cultori del rispetto e del bon ton.

Supercoppa italiana. Eravamo abituati alle gigantografie del dito medio, sbandierate dai rossoneri oltre un decennio fa sul pullman scoperto per festeggiare la Champions, quando un nostro scudetto – che ai loro occhi aveva il valore di un torneo di bocce – avremmo dovuto infilarcelo proprio in quel posto. La riprova è arrivata puntuale lo scorso anno, stesso copione, con la Coppa Italia diventata, a fronte del loro tricolore, una specie di orpello della vergogna. L’esortazione è stata, manco a dirlo, come la morale: sempre quella. Un invito che, ancora una volta, si vorrebbe servire di quel dito.

Senza dimenticare Ibrahimovic, che si scaglia contro l’ex compagnano di squadra Calhanoglu, transitato sull’altra sponda del Naviglio, lasciando un Milan che sarebbe stato alla fine vittorioso in campionato. Due cose da notare. Quando lo scudetto lo vincono loro, è un grande trofeo, quando a trionfare sono i cugini, diventa la vittoria di Pirro. Lo svedese, intelligente e scaltro, dimentica volutamente che nel 2009 lasciò l’Inter approdando a Barcellona per vincere la Champions. Peccato che uno squadrone di giganti, che aveva subìto il suo ripudio, sarà non solo campione d’Europa, ma campione di tutto il possibile. È lì che nasce l’Ibra deluso, è in quel momento che monta la rabbia, il sentimento di rivalsa.

Supercoppa italiana. Lo stile, dicevamo. Cos’è esattamente lo stile? Per René Duma “è l’impronta di ciò che si è in ciò che si fa”. È una cartina di tornasole della tua essenza, che si manifesta negli atteggiamenti esteriori. Quell’impronta, positiva o negativa, non la puoi improvvisare. O ce l’hai o non ce l’hai. L’Inter ha dimostrato, anche tramite le parole di Dzeko, “festeggiamo rispettando l’avversario”, che quella buona fa parte del suo dna. Che il suo corredo genetico ne è pregno. L’Inter è nata da soci dissidenti del Milan in una notte di febbraio del 9 marzo del 1908. In quel momento le strade dei due club si sono separate senza mai più incontrarsi. L’arroganza di chi si crede di essere il migliore, contro l’umiltà di chi riparte da zero con il favore di una notte romantica dipinta in un cielo stellato color oro. Ecco cos’è lo stile: un distillato di poesia e ardimento.

Lo stile non lo trovi al mercato, ma si può lavorare molto su se stessi per inseguirlo. L’auspicio è che il Milan faccia tesoro del trattamento ricevuto dentro e fuori dal campo. Deve dedicarsi molto ai fondamentali, smussare le inclinazioni becere e prendere esempio. Certo, non sarà questo il caso in cui l’allievo supera il maestro, dati i valori e disvalori nella mischia. Ma bisogna provarci, facendo un lavoro metodico e profondo sul proprio pensiero. Perché, come diceva Nietzsche, “migliorare lo stile significa migliorare il pensiero”. Sarà un po’ come scalare l’Everest senza bombola d’ossigeno, ma auguri Milan.

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