Editoriale

Come Carletto

Inzaghi ricorda il primo Ancelotti. Quello di Parma, bravo nel conferire alla squadra solidità e consapevolezza. Che sfiorò lo scudetto nel ‘97. A Torino, il buon Carletto ci andò vicino per due volte. Quella Juve si perse nell’acqua di Perugia, certamente più di un bicchiere. Al Milan lo attesero con molta più pazienza ed ebbero ragione.

Inzaghi e Ancelotti hanno dei punti in comune. L’allenatore nerazzurro lo ricorda nel modo con cui si approccia ai calciatori. Da fratello maggiore, senza imporre la propria leadership con ruoli precostituiti. Non gli serve urlare: “Sono io l’allenatore”. I calciatori lo sanno e per lui si battono. Sempre. Quando fu vicino al baratro, Lautaro e compagni risposero coi fatti. Pronti a tutto pur di salvaguardare il loro mister, prima incapsularono il Sassuolo, poi misero a tacere il Barça e tutti quelli che dicevano che si trattava della squadra più scarsa vista all’ombra della Sagrada Familia.

E senza cambiare modulo. In questo ha ragione Sacchi, un allenatore che cambia modo di giocare, stravolgendolo come ha fatto Pioli nel derby, aumenta le incertezze.

Ma torniamo a Inzaghi. Tanti dimenticano che nel primo anno di Inter, l’ottimo Simone ha perso Hakimi e Lukaku per scelte societarie, quindi Eriksen per causa di forza maggiore. È stato bravo, ha vinto Supercoppa Italiana e Coppa Italia contro la Juventus, ed ha sfiorato lo scudetto.

Un regalo al Milan, diciamocelo francamente. Nettamente meno forte dell’Inter, ai rossoneri è riuscito tutto, anche di emulare il miracolo Leicester. Nonostante questo, sfidiamo chiunque a barattare le due coppe vinte contro la Vecchia Signora per lo scudetto dello scorso anno. Significherebbe rimuovere dalla memoria ben più della papera di Radu. Come si fa a rinunciare alle emozioni goderecce stimolate dal gol Alexis Sanchez quando i bianconeri presagivano i rigori? O ancora, l’esaltazione in cui il popolo interista è stato catapultato dai gol di Perisic? Meglio tenersele strette, eccome, quelle coppe.

Così come è bello stringere forte al petto le emozioni della Supercoppa d’Arabia. Le tre pappine con cui l’Inter ha asfaltato il Milan rendono il trofeo ancora più bello e gratificante. Una seconda stagione Inzaghiana in cui abbiamo goduto del privilegio di ammirare Calhanoglu regista. Una bella intuizione che rimanda alla genialata di Ancelotti di spostare Pirlo davanti alla difesa. Gli evitò di perdersi nella trequarti donandogli l’elisir di lunga carriera. Inzaghi ha saputo gestire, senza ripercussioni sul gruppo, il caso Skriniar. Uno di quelli spinosi, come tanti capitati ad Ancelotti in carriera.

Lo ha fatto con naturalezza. Come Carletto.