Editoriale

Inter “crocerossina”, Spalletti aveva capito tutto

“L’Inter è femmina“ scriveva tanto tempo fa Gianni Brera, l’Inter è pazza si cantava a San Siro.

L’Inter di questo periodo non è né femmina né pazza, è semplicemente “assurda”. Nel vocabolario Treccani assurdità  è declinato come contrarietà alla ragione, all’evidenza, al buon senso; che è in sé stesso una contraddizione.

Cosa c’è di più assurdo delle montagne russe dello scorso anno costate uno scudetto?  E non è assurdo l’inizio stagione dell’Inter che vince con le piccole e perde tutti i match importanti?  Soluzione proposta? Inzaghi out e vinciamo tutto.

E non è ancora più assurdo il post mondiale? Vinci coppa e scontri diretti ma lasci 7 punti con Monza, Empoli e Sampdoria. Soluzione proposta: Inzaghi out come sopra.

E’ tutto assurdo, risultati e soluzioni.

Nelle partite da dentro-fuori Inzaghi riesce a incidere come pochi, nel lungo periodo si perde nel radicalismo del suo schema a 3 dietro, specie in trasferta e anche contro squadre di livello inferiore. Solo un flash sulla partita di Marassi: perché di fronte ad una Samp che non segna neanche con le mani lascia tre difensori anche quando a metà ripresa Stankovic toglie Gabbiadini e resta con una sola punta? Lui ha fatto il corso di Coverciano, noi no, quindi ha ragione di lui di sicuro.

Inzaghi non è un sergente di ferro, non è un allenatore-manager, non è un motivatore, non è un comunicatore, è altro, nel bene e nel male. E’ forse il meno modesto della seconda fascia, è quello che l’Inter può permettersi in questi tempi di vacche magre, vietato sognare nomi altisonanti per il futuro finchè le condizioni societarie restano queste.

In assenza di stimoli esterni la sensazione è che chi scende in campo debba automotivarsi. Operazione semplice se balla un trofeo o una qualificazione europea, molto meno se di fronte trovi Murru, Baldanzi o Petagna. Lì scatta la presunzione di chi pensa che tanto prima o poi il gol viene fuori e la portiamo a casa, retaggio tipico di giovinastri pieni di grana ma poveri di buon senso, atteggiamento mentale che staff tecnico e dirigenza non sono riusciti ad eliminare in due anni.

Tornano alla mente le parole di Luciano Spalletti “uomini forti destini forti, uomini deboli destini deboli”.

Quanti uomini “forti” ha l’Inter oggi? In campo, in panca ma anche in società, perché ridurre tutto alle colpe di Inzaghi sarebbe miope.

L’incazzatura di Lukaku con Barella è da “uomo forte” o da giocatore che cerca di coprire l’insicurezza per ciò che non riesce a dimostrare?  E l’atteggiamento sempre più indisponente di Barella è da uomo forte che studia da leader o da bulletto di periferia? In entrambe io accenderei la seconda.

E quanti uomini forti ci sono in Viale della Liberazione? Zhang lasciamo perdere, Marotta da due anni fa le nozze coi fichi secchi, Ausilio aspetta ancora i 5 euro dai presenti alla cena di Natale. Se ci fossero stati un paio di uomini forti la questione  Skriniar sarebbe stata gestita in tutt’altra maniera, la scorsa estate e due settimane fa. Perché anche questa vicenda pesa in campo, negarlo sarebbe inutile.

Tante speranze (almeno le mie) erano riposte nella capacità di  Riccardo Ferri di smuovere gli animi più blandi. Come morì chi visse sperando lo sappiamo.

La rosa c’è, altrimenti non metti sotto Barcellona, Napoli, Atalanta e due volte un Milan per quanto dimesso. Manca quasi tutto il resto, ovvero quel clima mentale fatto di ambizione, convinzione, motivazione, condivisione che nasce in primis dalla società per poi scendere a cascata sugli interpreti che vanno in panca e in campo. Proprietà forte-dirigenza forte-squadra forte, questa era la lezione di Spalletti.

Ehhh ma così significa buttarla in vacca diranno gli studiosi di schemi, movimenti, tatticismi esasperati e numeri.

Se  vogliamo parlare degli errori sotto porta di Lautaro o della partitaccia di Dimarco facciamo pure. Però il calcio inizia dalla testa, in campo e fuori. Poi passa per i piedi, ma se le teste non sono lucide stiamo qua a pettinare le bambole.

Il rammarico più grande è che Milan, Atalanta e le romane non stanno messe meglio dell’Inter, tutt’altro,  ma proprio le teste deboli dei nerazzurri sono la loro flebo.

Martedi 21 febbraio sarà l’ultimo di Carnevale, il giorno dopo arriva il Porto a San Siro. Urge riporre il costume da crocerossina e riprendere i vecchi panni, quelli del Camp Nou di tre mesi fa per intendersi.