Inter, un fatto quasi inosservato dà la sensazione del caos
Scrivere dopo la decima (persa) è esercizio al limite del masochismo, ma va fatto, lo impone il mestiere e le tante teorie che si leggono a destra e a manca.
La sconfitta con la Viola fa male, brucia da morire per le conseguenze di queste ore e per i modi in cui è maturata.
Al di là di tutte le analisi tecniche che si possono fare, creare 6/7 palle gol nitide senza buttarla dentro è ormai la normalità per una squadra che vive un ambiente saturo di incertezze. O forse è più corretto parlare di veleni?
Incertezze o veleni?
Il sospetto viene quando si vedono fior di giocatori esprimersi al loro livello nelle nazionali o in Champions mentre in campionato mandano in campo la controfigura in bermuda e infradito. Per la serie quando i riflettori sono importanti ci si sbatte perché anche le fortune future del nostro portafoglio dipendono da questo, quando davanti ci sono Empoli, Samp, Monza, Bologna e Viola chi se ne frega…(anche perchè diversi di loro il prossimo anno saranno altrove)
Abbiamo passato mesi a teorizzare che Inzaghi fosse abile a preparare le partite secche ma non a gestire il lungo periodo ma ora quelli double face sembrano i giocatori più che il tecnico.
Il sospetto di veleni emerge più forte quando la società a fine gara manda ancora una volta Inzaghi a metterci la faccia e le parole, sbagliate come al solito. “Se Lukaku faceva due gol…” suona come “se mio nonno aveva le ruote…” siamo al limite del “poi è iniziato a piovere” di mazzarriana memoria ma ormai ci siamo abituati.
O si difende o si licenzia
Non era il tecnico che doveva parlare dopo lo scempio, c’era da aspettarsi che Zhang o Marotta fossero andati davanti alle telecamere a dire l’unica cosa che potevano e dovevano dire: viste le circostanze la squadra va in ritiro almeno fino a Salerno e se non basta pure l’uovo di Pasqua e la colomba scartiamo alla Pinetina. L’unico modo per difendere Inzaghi era questo. Non è stato fatto e c’è da chiedersi perché.
La sola alternativa sarebbe congedare Inzaghi su due piedi come invocato da molti, vedove di chiunque purchè non sia Inzaghi.
Poi gli chiedi sostituirlo con chi? Con quali soldi? E allora iniziano a blaterare, a masturbare concetti senza senso.
Chi? Conte subito?
Opzione a rischio orticaria per molti (compreso il sottoscritto) ma sarebbe l’unica risposta calcisticamente e gestionalmente accettabile. Ma al di là di come si era lasciato con l’ambiente, se non ha intrapreso la strada della decrescita felice Antonio costicchia mica poco e poi lui non si siede alle pizzerie da 10 euro, lui conosce solo i Cannavacciuolo del calcio. Vogliamo provare a chiedere a Zhang e Antonello se ci sono gli sghei per un pranzo stellato?
Chi? Chivu? Quello che non ha ancora (non per colpa sua) mai allenato in serie A? Quello che vivacchia al decimo posto nella classifica del Torneo Primavera? Auguri fratelli tafazzisti.
Oppure chi? Zenga? Gli vogliamo tutti troppo bene per pensare solo di offrirgli due mesi infernali da traghettatore sulla panca nerazzurra e poi “grazie Walter, ora tocca a un altro…”. Zenga per un pluriennale? Con il cuore subito, con la ragione mai.
Le responsabilità vere
Oggi cambiare tecnico avrebbe una sola valenza, quella di togliere l’ultimo alibi a chi va in campo col mal di pancia. Ma servirebbe a cosa? Ad avere la certezza di raggiungere almeno qualcuno dei tre obbiettivi ancora in ballo oppure a placare gli istinti più “sanguinari” di tifosi e media? Io accendo la seconda, voi liberi di pensarla diversamente.
I veleni parlano di uno spogliatoio non propriamente unito (eufemismo) dietro mister Inzaghi e non da queste settimane. Lo scudetto perso lo scorso anno ha lasciato ferite profonde (l’intervista di Calhanoglu dello scorso giugno c’è ancora in rete), la vicenda Skriniar ci ha messo il sale sopra. E’ stata la società a rinnovare Inzaghi, è stata la società a perdere lo slovacco a zero. O no? Quindi a chi tocca mettere una pezza, al tecnico o a chi porta le maggiori responsabilità di questa situazione?
Rebus sic stantibus, il mister sarà costretto a chiudere la stagione con questo gruppo. Molti allenatori farebbero i salti mortali per vivere un mese così, per lui (e per noi) il sogno di un finale di stagione esaltante rischia di trasformarsi un supplizio penoso.
Il segnale più evidente
E sempre a proposito di incertezze e veleni, il segnale forse più evidente del caos attuale è passato sottotraccia, quasi inosservato. Roberto Samaden ha vissuto in nerazzurro 33 anni, non 33 mesi come siamo abituati alla gestione dei tempi in casa nostra, 33 anni, 396 mesi, 12.045 giorni, segnati da una valanga di trofei, scudetti e talenti scoperti.
Samaden ha lasciato l’Inter nei giorni scorsi, con tutta probabilità andrà a dirigere il settore giovanile dell’Atalanta. Un pezzo di storia nerazzurra che se ne va proprio ora, non per una prima squadra di serie A o per la cantera del Barcellona, per un incarico analogo a Bergamo (con tutto il rispetto), senza riflettori né decine di milioni di euro sul tavolo. In 33 anni avrà avuto pure lui i suoi momenti difficili, i suoi turbamenti, eppure è sempre rimasto. Sempre, fino ad oggi.
I motivi li conoscono solo in Viale della Liberazione, si parla di riduzioni di budget per il settore giovanile ma uno che vive all’Inter da 33 anni ne ha viste di cotte e di crude. In tutto questo tempo uno con il palmares di Samaden avrà avuto mille occasioni per andare a cercare altre avventure in altre piazze eppure non era successo. Evidentemente la situazione era tale da non permettere altre soluzioni, segnale di un malessere più profondo di quel che non sia dato capire.
Qualcosa non torna
Ergo. I gol sbagliati da Lukaku e c. sono un pezzo del problema. Inzaghi, con tutto l’affetto, un altro pezzo del problema. Ma il problema vero è un altro, una proprietà assediata da cause milionarie e prestiti da rimborsare, una dirigenza che ha smarrito la bacchetta magica, l’intuito. Magari affiora pure la stanchezza di navigare a vista tra parametri zero e plusvalenze, pensando più che altro a come mollare baracca e burattini in modo elegante ma deciso. Ma adesso non è tempo per progetti futuri. Adesso, senza fare nomi, vista la mancanza di autorevolezza di Zhang, tocca a Marotta creare le condizioni per salvare il salvabile senza esporre il nome dell’Inter a figure barbine. E poi anche lui vada dove lo porta il cuore, politica o Juventus che sia.
In mezzo a tutto questo, con la Fiorentina eravamo in 73 mila a San Siro, con Monza, Lazio e Benfica il sold out è assicurato.
Qualcosa non torna.
Cosa lo sappiamo tutti, anche se qualcuno fa finta di non sapere.