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Zanetti-Inter, l’ex capitano si confessa: le parole sullo scontro con Hodgson. E che elogio a Maldini!

Inter, Javier Zanetti parla della sua esperienza in nerazzurro. In una lunga intervista al podcast Muschio Selvaggio, l’ex capitano nerazzurro è stato interrogato su quella che è stata la sua carriera, ma, soprattutto, sulla sua esperienza interista. L’attuale vice-presidente, ha parlato di tanti aneddoti e di tanti elementi curiosi. Ecco le sue parole.

Sulla gestione finanziaria dei club: “Servono dei tetti, il club deve essere sostenibili. Parte economica e sportiva devono combaciare. Oggi tra Serie A e Premier c’è una grande differenza. Ultima squadra della Premier prende i soldi che prendono Inter, Juve e Milan”.

Sull’aver ritirato le maglie numero 3 e 4 da parte dell’Inter: “È un bellissimo riconoscimento a una persona che ha dato tutta la sua carriera per un club. Io ho sempre detto che magari la potrà usare uno dei miei figli se giocherà in Serie A”.

Sul suo rapporto con la nazionale argentina: “Messi, Mascherano e poi ci sono io come presenze. Rapporto fantastico con la Nazionale, tutti la sognano. Io ho fatto 145 partite. Purtroppo non abbiamo vinto un Mondiale, con generazioni che avrebbero potuto farlo”.

Su Maradona che gli tolse la fascia da capitano: “Mondiale 2006 e 2010 faccio tutte le qualificazioni e poi al Mondiale non vengo convocato. Triste perché penso di aver dato tutto per esserci. Io giocavo da titolare e sono andati al Mondiale giocatori che erano in tribuna. Ma so di aver dato tutto. Mondiale 2010 la mia stagione migliore col Triplete ho fatto 57 presenze, le ho giocate tutte”.

Sulla parte psicologia per un calciatore: “Pesa tantissimo, la mente governa il corpo. Tutto quello che arriva dalla testa è fondamentale, la mente fa tutto. Adesso il calcio è cambiato, ci sono psicologi, persone apposta per aiutare ragazzi in difficoltà per affrontare ogni tipo di problematica”.

Sul carattere che deve avere un calciatore: “La famiglia è la mia base. Mio padre muratore, mia madre casalinga. Ho visto da vicino i loro sacrifici, quanto ci tenevano a non farci mancare nulla. Sono cresciuto per dare valori alle cose semplici, ciò che loro mi trasmettevano e questo mi ha accompagnato nella carriera e lo fa anche oggi. Serve equilibrio, non è facile. Arrivo a Milano a 21 anni, in una città imponente che offre tutto, figurati per un giovane, in due secondi ti può perdere. Lì entra in gioco l’educazione dei tuoi genitori: io vivevo in un quartiere piccolo in Argentina, il cambio è stato radicale, però nei primi anni i genitori erano con me e sono stati importanti”.

Su Maldini: “Siamo amici, c’è sempre stato grande rispetto e ammirazione. E’ una persona fantastica, equilibrata, un gran lavoratore. Tantissimi derby contro ma c’era tanto rispetto, grandissimo rispetto anche per Costacurta, Baresi, c’era rivalità ma rispetto. E’ difficile arrivare ad alti livelli ma anche mantenersi: c’è pressione, non è semplice”.

Sullo scontro con Hodgson: “A 20 anni uno pensa in una maniera, a 30 un’altra, oggi un’altra ancora. Ogni volta che vedo quell’immagine lì, non riesco a guardarla. Mi vergogno. Andiamo ai supplementari e mi toglie un minuto prima. Ero incazzato, era la mia prima finale con l’Inter. Entrava Berti che era un rigorista, non pensavo mentre ero in campo. Poi alla fine ci siamo abbracciati”.

Sul suo secondo nome Adelmar: “Appena nato ho avuto difficoltà: il dottore che mi ha salvato era Adelmar secondo mia mamma e lei mi ha dato quel secondo nome, avevo problemi respiratori”.

Sulla fondazione Pupi: “Ho dato questo nome alla mia Fondazione 20 anni fa, era stato un anno molto difficile per noi argentini, economica, sociale ed educativa. Tramite assistenti sociali, abbiamo preso 34 bambini ad alto rischio, ogni volta che tornavo in Argentina vedevo tanti bambini soffrire, ne ho parlato con mia moglie per dare un futuro migliore ai bambini. Dopo 20 anni non avrei mai immaginato la crescita che abbiamo avuto, ringrazio l’Italia perché ha grandissima sensibilità per aiutare bambini a 15 mila km, non è scontato”.

Sul momento del ritiro: “Per noi calciatori il momento del ritiro è difficile, perché non sei pronto a cosa devi fare dopo. Ho avuto la fortuna che, quando ho smesso, l’Inter mi ha proposto il ruolo di vicepresidente: mi arriva la notizia, grandissima felicità ma mi fermo un attimo perché era una grande responsabilità. Mi sono detto: ‘Ho finito la mia carriera da giocatore?’ Adesso ne inizio un’altra da zero. Mi devo preparare, ho studiato, ho fatto un master per non essere legato solo alla parte sportiva ma per avere una visione a 360° per essere utile anche nel marketing, relazioni internazionali, progetti sociali. E questo mi piace, l’Inter ha bisogno di persone con competenze. Io continuo a studiare e imparare. Mi sono rimesso in gioco ed è giusto che sia così. E’ finita la carriera da giocatore e ne inizia un’altra da zero”.