Editoriale

Inter, la strada è obbligata, prendere o lasciare

Dopo la gara con il Bologna una carezza ed uno scappellotto a Inzaghi ed una riflessione che può non trovare molti d’accordo.

Inzaghi, scelte esatte e scelte sbagliate

Il mister ha deciso di mandare in campo gli 11 titolarissimi. Bravo Simone, scelta condivisibile visto che arriva la sosta per le nazionali, visto che Frattesi e Cuadrado erano reduci da infortuni e visto che comunque i 5 cambi assicurano rotazioni serene in corso d’opera.

Fino al 2 a 0 sembrava il sequel del match con il Benfica. Poi arriva il momento topico della partita, Lautaro si vede superato da Ferguson, lo abbraccia troppo amorevolmente e conferma la teoria che spesso gli attaccanti in difesa fanno danno. Il Bologna ritrova slancio l’Inter ritrova antiche difficoltà, anche nelle rocce difensive. In tre sbagliano sull’affondo di Kirkzee, invece di chiudergli lo spazio rinculano, l’olandese ha il tempo di stoppare, prendere un caffè, alzare la testa e centrare l’angolino sinistro mentre Sommer, chissà perché, accenna ad un mezzo passo dall’altra parte come si aspettasse il tiro incrociato.

Il pari del Bologna arriva al 7mo della ripresa, ci sarebbe stato tutto il tempo per vincerla.

Perchè Thuram?

Qui casca l’asino. Tre minuti dopo Inzaghi richiama in panchina Thuram per Sanchez. Come Thuram? Perché Thuram? Era stanco? Non aveva brillato? Oppure aveva un funerale di un parente e doveva scappare prima?

Perché Thuram? Perché togliere l’unico terminale offensivo sulle palle alte limitando di una buona percentuale la capacità offensiva della squadra? Sanchez e Lautaro fanno tanto movimento (Lautaro) e tanto casino (Sanchez) ma le palle alte non sono la specialità della casa. Dumfries ne aveva messe in mezzo alcune interessanti, Carlos Augusto pure. Ma Lautaro solo in mezzo alla difesa bolognese (disastrata dalle assenze ma impeccabile) con il Nino dietro 10 metri è come scalare una cima alpina in ciabatte e bermuda. Ma perdio, vista l’importanza dello posta in palio,  una volta tanto non sarebbe stato davvero possibile togliere un centrocampista e giocarsela con due punte e Sanzchez dietro di loro?

No eh? Giusto, il mister ha fatto il corso a Coverciano, noi no, dunque ha ragione lui.

Non si è fatto  in tempo ad uscire dal piazzale dello stadio e già fioccavano i commenti. Lautaro è un cazzone, il pareggio è colpa sua,  5 punti alle ortiche tra Sassuolo e Bologna , Inzaghi ha rotto le balle. Oggi si sentono addirittura critiche al capitano e altri chiamare a gran voce l’esonero di Inzaghi e magari il ritorno immediato di Conte. Evvvai…

Il perchè di una scelta

Dopodichè si impone una riflessione più ampia.

Il paragone con i millemila punti persi contro le piccole lo scorso anno viene naturale così come il ricordo dello scudetto perso dall’Inter e regalato al Milan due anni fa.

Nel 21/22 il momento peggiore in campionato dei nerazzurri, i 7 punti in 7 partite, arrivò tra febbraio e marzo, in coincidenza con l’ottavo di finale di Champions con il Liverpool. Vale la pena ricordare una frase di Inzaghi diventata un cult: “la partita che vorrei rigiocare? Il ritorno a Liverpool, se non fossimo rimasti in 10…”

Lo scorso anno a 20 minuti dalla fine di Inter Lazio (30 aprile) con il gol di Felipe Anderson l’Inter era 7ma in classifica, praticamente fuori dalla lotta per il quarto posto. Mancavano 10 giorni al doppio derby di Champions. Con il gol del pareggio di Gosens si aprì la cavalcata finale ma lo sprofondo in campionato era ad un passo.

Reggere il doppio impegno ai massimi livelli è difficilissimo, tenere sempre al top concentrazione, lucidità e corsa è praticamente impossibile. Pretendere 60 e più partite giocate con l’intensità esibita nel 5 a 1 al Milan o contro il Benfica è fuori da ogni logica.

La finale di Istanbul ha insegnato molto a molti.

Al mister e alla squadra che se si tirano fuori i marroni nessun risultato è precluso.

Alla dirigenza che non c’è bisogno di spendere 400 milioni come il Chelsea per raggiungere obbiettivi di prestigio, basta qualche parametro zero intelligente e qualche acquisto ponderato.

Alla proprietà che il campionato va bene porta entusiasmo, spettatori e prestigio, specialmente se arrivi alla seconda stella prima dei concittadini con le maglie rossonere. Ma i quattrini veri, quelli che cambiano i bilanci,  li porta la Champions tra premi Uefa e botteghini stramilionari.

Dal 2024 arriverà la nuova formula della Champions. Più partite, più interesse, più sponsor, più soldi. Le partite della serie A, salvo i 5/6 scontri al vertice,  eserciteranno sempre minore attrazione di fronte allo scenario europeo. Spiace constatarlo ma è così.

E quest’anno c’è un pizzico di pepe in più. Il ranking Uefa sarà decisivo per la partecipazione al mondiale per club 2025. Un pozzo senza fondo di soldi: 2 miliardi di euro da spartirsi tra le 32 finaliste, premio di 100 milioni al vincitore. In  base alla graduatoria attuale l’Inter è quasi sicura di esserci, manca pochissimo per avere la certezza matematica.

Quella nerazzurra non è società da fare delle scelte tra Campionato e Coppe europee, tanto più a metà ottobre. Snobbare una competizione è roba da provincialotti, l’Inter è altro. Ma se in tutto l’ambiente nerazzurro circolasse  anche sotto traccia la convinzione che l’obbiettivo vero di questa stagione sia quello di andare più lontano possibile in Europa anche perdendo qualche punto in più in campionato qualcuno potrebbe condannarlo?

Noi no.

Saremo i primi ad essere in piazza a festeggiare, se arriverà, lo scudo della seconda stella. Ma il calcio italiano ormai è provincia dell’impero e neanche tra le più importanti. Il palcoscenico del calcio che conta sarà sempre più quello europeo, la Champions fagociterà interessi e incassi anche per combattere i nuovi protagonisti arabi tesi alla  conquista di spazi di manovra e di visibilità sempre maggiori a suo di petroldollari.

Siamo Internazionali di nome e di fatto, l’Europa è nel nostro DNA da sempre, il futuro lo si costruisce sempre di più in funzione dei soldi e  con il coraggio nelle scelte più difficili.

Anche qui prendere o lasciare.