Editoriale

Inter, una rivoluzione in 38 giorni

Oggi verrebbe voglia di scrivere uno di quei pezzi per togliersi i sassolini dalle scarpe. Non è ancora tempo, verrà quel momento e sarà dolce veder passare i cadaveri di chi parlava dell’Inter come di una RSA o di chi blaterava sul ritorno di Conte.

38 giorni fa quando l’Inter volò in oriente a vincere la Supercoppa con la Juventus temporaneamente in vetta alla classifica erano tutti sdraiati ai piedi di Allegri in attesa del miracolo. Sentirli parlare oggi  per iperboli, meraviglia, poesia, opera d’arte fa sorridere.

38 giorni per una rivoluzione

38 giorni sono stati sufficienti per una rivoluzione, oggi si parla dell’Inter più bella di sempre, numeri che fanno arrossire i top club europei.  Il filotto di vittorie datate 2024 ha stroncato le reni alla concorrenza ed ai suoi mentori, increduli per i punti lasciati per strada contro squadre in lotta per la retrocessione o giù di lì. Gli interisti quei sentieri li conoscono bene per averli frequentati spesso nelle ultime stagioni fino al punto di perdendoci uno scudetto, la lezione è servita.

38 giorni fa il ritornello era se l’Inter non vince lo scudetto è un fallimento. Oggi si cambia, oggi il fallimento sarà segnato se i ragazzi di Inzaghi non porteranno a casa la Champions. Non sanno più dove alzare l’asticella per giustificare l’unico fallimento vero, il loro.

Atalanta, Asllani e Lautaro sugli scudi

La partita con l’Atalanta non ha detto niente di nuovo, a  San Siro ci siamo abituati alle quaterne (se non  di più) come se piovesse. Quasi quasi  si rimpiangono i  tempi delle partite tirate fino in fondo con l’Inter capace di rimettere in discussione qualsiasi risultato fino all’ultimo secondo del recupero. La partita degli orobici è durata 10 minuti, fino al gol annullato (giustamente) a De Ketelaere, poi è partita la rumba e i ragazzi di Gasperini non l’hanno più vista fino al fischio finale.

Una parola la merita Asllani. Il ragazzo ha fatto capire che il percorso di crescita è alla fine, finito il tempo del compitino facile facile magari nascondendosi dietro l’avversario. 180 minuti da titolare al posto di Calhanoglu hanno messo in mostra un ragazzo cambiato nell’atteggiamento,  capace ora di prendersi le proprie responsabilità, di proporsi con continuità per ricevere la ripartenza dalla difesa e illuminare l’avvio della fase offensiva.

E una parola per Lautaro. Anzia due. La prima lasci perdere i rigori, gli vogliamo un bene dell’anima lo stesso. Per la seconda si rimanda alle immagini che girano sui social. Sul 3 a 0 mentre lo stadio sbrodolava di gioia cantando che la capolista se ne va lui dal campo dirigeva l’orchestra incitando i cori festosi. Non un semplice capo popolo ma un leader vero che stava giocando una partita sontuosa, nobilitata da uno dei gol più belli dell’intera annata,  entrato in simbiosi perfetta con tutto l’ambiente nerazzurro. Un numero 10 che parla solo con i fatti e lascia che i fatti parlino per lui.