Editoriale

Inter, ok i festeggiamenti ma San Siro non è San Remo

Parliamo troppo poco del derby e troppo dei festeggiamenti.

Specialmente adesso, con il Milan fatto fuori dall’Europa dalla Roma in 10 per un’ora, dopo una prestazione desolata e desolante, con i giocatori chiamati a rapporto a fine gara dai loro ultras al grido di “tirate fuori i marroni” il rischio di perdere la sesta stracittadina consecutiva e la festa interista che fa tremare le gambe anche al milanista più scafato.

Lunedì avranno  il sangue agli occhi, sanno che un’altra sconfitta avrebbe il sapore della debacle definitiva e non solo per Pioli,  sta a Inzaghi e ai suoi ragazzi trasformare questa pressione enorme in un boomerang che gli torni sui denti.

Sarà un derby strano e bellissimo comunque, carico di emozioni enormi e diverse.

Cos’è l’inno?

A proposito di festeggiamenti ed emozioni. L’Olimpico ieri sera era roba da far tremare le vene, in quel “grazie Roma” di Venditti cantato dallo stadio intero c’era l’attesa dell’impresa, il senso di appartenenza, l’orgoglio di essere lì, romani e romanisti comunque vadano le cose.

La potenza di un inno, un  canto di auspicio e amore, incoraggiamento e condivisione di vita, sentimenti, passione totale al di là del risultato.

Un momento magico, un momento che ai tifosi interisti è negato ormai da troppo tempo.

San Siro non è San Remo

A San Siro l’inno non esiste più. Dopo l’eliminazione di “Pazza Inter Amala” gli altoparlanti sparano qualche secondo di “C’è solo l’Inter”, giusto per ricordare che io non rubo il campionato ed  serie B non son mai stato.

Il vero inno di San Siro, l’unico momento in cui tutto lo stadio si riconosce,  dallo scorso anno è diventato per tutti quei chilometri che ho fatto per te

Lo scudetto del 2021 portò in dote “Yes I am”, ora si legge che nell’ambito dei festeggiamenti per la seconda stella è previsto un nuovo inno.

Facciamo a capirci. San Siro non è San Remo, saranno colleghi in Paradiso ma ognuno si tenga i Santi suoi, quando siamo al Meazza le cosce di Lautaro contano assai più di quelle di Elodie.

L’inno non è non può essere una canzonetta qualunque da cambiare  tutti gli anni, l’inno ha un che di sacralità, profuma di storia antica, chiama al coinvolgimento generale perché è un canto di Fede (si con la maiuscola) che si tramanda di generazione in generazione.

Rendeteci l’inno

La rincorsa alla modernità va bene ma di fronte a certi simboli bisogna fermarsi. A Liverpool si sono mai sognati di mettere in discussione You’ll never walk alone nel 2019 dopo la vittoria della Champions o nel 2020 dopo la Premier? No, perché si sarebbero trovati la Kop sotto la sede coi forconi (giustamente).

In mezzo alle mille cose positive degli ultimi anni la dirigenza nerazzurra ha creato questo vulnus. Rimediare è semplice, rendeteci l’inno, tutto e intero. Tra Pazza Inter e C’è solo l’Inter scegliete voi ma rendeteci un inno da cantare. Lo chiede San Siro mica San Remo.